L’allocco

Ventimila battute sotto i mari
 
L’allocco
Fu la terza notte che ci venne a trovare che seppi con certezza che l’allocco, e soltanto lui, sapeva.

Allora abitavamo in un umido piano terra vicino alla riserva della Marcigliana, a Roma, alla fine dei palazzoni alti cresciuti come funghi dove prima erano solo campi. Dopo di noi, ancora, solo campi. Era un luglio di caldo eccezionale, “- il più caldo degli ultimi decenni -” diceva la TV come ogni anno, la sera spalancavo le vecchie finestre di legno scrostato e mentre mia moglie dormiva vagavo in mutande tra il salotto e il giardino, che era sempre più incolto e, forse per le temperature, pareva una foresta tropicale.

Fu in una di queste nottate sudate, in cui la testa si avvita su se stessa e il tempo si dilata ed esce dai binari del giorno per deragliare verso percorsi oscuri e dissestati, che sentii all’improvviso, a coprire il brusio ipnotico del motore del congelatore, il verso dell’allocco.
Ero sbracato sul divano, guardavo senza vederla la televisione accesa al minimo volume su un canale locale che pubblicizzava una chat erotica, mi tirai su di scatto con il cuore che pompava all’impazzata e tesi le orecchie per individuare da dove veniva quel verso inquietante che pareva sorprendentemente vicino.

Non capii subito di che animale si trattasse, uscii in giardino guardingo come uno che sospetti di trovarci un ladro o che cammini su gusci di uova, muovendomi a rallentatore, gli occhi spalancati e i sensi in allerta.

Il verso ricominciò. Non avevo più dubbi, era vicinissimo e mi tagliava il fiato.

Fu solo dopo alcuni minuti di immobile perlustrazione che lo scorsi, a due metri da me, sul tronco di un albero ricoperto di edera. Mi fissava con occhi più neri della notte, grandi occhi tondi senza profondità contornati da due specie di dischi ipnotici dal piumaggio più chiaro, come due laghi vischiosi sulla testa piatta, protesa verso di me. Non era molto grande ma avevo la sensazione che se avesse spalancato le ali grigio scure striate di rosso sarebbe cresciuto a dismisura. Mi pietrificai alcuni istanti dentro il suo sguardo, e poi indietreggiai, sentendo che la testa iniziava a girare e lo stomaco a rivoltarsi. Tornai a letto. Sveva dormiva del solito sonno pesante, mi sdraiai e riuscii a riaddormentarmi solo all’alba, quando il verso cessò del tutto.

Il giorno dopo non le raccontai nulla, archiviai quell’incontro notturno come uno strano episodio isolato che non c’era bisogno di condividere, ma, quando la notte seguente il verso ricominciò, sentii una morsa all’altezza dello sterno. Provai ad ignorarlo ma era impossibile, era come un grido lamentoso che si incrementava e pareva rivolto a me.

Dopo un tempo che non saprei quantificare mi buttai giù dal letto e tornai in giardino. L’albero era sempre lo stesso, ma l’allocco aveva cambiato ramo. Quando mi vide il verso si fece più acuto e diradato. Gonfiava il collo a ogni emissione e pareva avesse un’altra creatura intrappolata dentro. Una creatura che sembrava essere venuta per saldare un conto lasciato aperto.

Il pensiero di ucciderlo si fece largo con calma e lucidità nella mia mente. Mi guardai intorno per vedere se ci fosse un oggetto utile allo scopo, una vanga, forse un rastrello. Ma Sveva quella sera doveva aver fatto ordine negli attrezzi, e se avessi raggiunto lo sgabuzzino, un metro a sinistra dell’animale, di certo lo avrei spaventato.

Mentre ponderavo le mie decisioni e di nuovo il malessere mi invadeva allentandomi la forza nei muscoli, l’allocco spiccò un volo improvviso verso il giardino accanto, come a tuffarsi su una preda. Era sorprendentemente veloce e silenzioso, lo vidi volare via con qualcosa nel becco, non riuscii ad individuare cosa. Ripresi a respirare a un ritmo normale.

Le sette notti successive non tornò, ma io non riuscii lo stesso a chiudere occhio. Che sarebbe tornato lo sentivo, come sentivo che la sua venuta aveva qualcosa a che fare con ciò che avevo fatto dieci anni prima.

Passavo le giornate in uno stato quasi febbrile, non avevo un lavoro e questo non mi aiutava a distrarmi, Sveva rientrava la sera dopo dieci ore passate a pulire le case degli altri, trovava me e l’appartamento sempre più abbrutiti e si limitava a guardarci con disprezzo, parlavamo il minimo indispensabile e poi se ne andava a letto sfinita.

Fu la terza notte in cui tornò, come dicevo, quella in cui capii che non mi sbagliavo. Che quell’essere che m’invadeva casa e pensieri sapeva quel che nessun altro sapeva. Sapeva quel che avevo fatto, sapeva e non avrebbe smesso di tornare.

Quando lo udii di nuovo, quel lamento insopportabile nel cuore della notte torrida, non ebbi più dubbi.

Mi alzai e silenziosamente spalancai l’anta dell’armadio di fronte al letto, aprii il cassetto delle mutande e dal fondo ne estrassi una scatola che non aprivo da allora. La pistola era fredda e questo mi diede un brivido di piacere. Mi avviai nel salotto e da lì nel giardino, la mano destra mi tremava ma sentivo anche l’eccitazione di una liberazione imminente. Era ora di mettere fine a tutto questo, di seppellire di nuovo le mie colpe. Il verso dell’allocco pareva più forte delle altre volte, eppure non riuscivo a individuarlo. Il sudore mi inondava la faccia, gli occhi mi bruciavano per le notti insonni, l’allocco d’un tratto emise un grido più acuto da un angolo buio del giardino e io tesi il braccio e puntai il ferro verso l’oscurità aspettando che uscisse allo scoperto. D’un tratto il verso cessò, un sordo battito d’ali riempì l’aria del giardino e io feci fuoco una prima volta.

Sentii un bruciore come di lava nella spalla sinistra ma ormai l’istinto era stato sciolto come un cane feroce e fu così che esplosi anche il secondo colpo, che questa volta deflagrò squarciandomi il petto. Sdraiato a terra tra la sdraio richiusa e il vecchio tavolo di plastica verde, l’ultima cosa che vidi prima di morire fu lo sguardo nero dell’allocco, il cui verso non potevo più sentire.

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Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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