Asclepia

Ventimila battute sotto i mari
 
Asclepia
di Annalisa Tinozzi
 
Seduta sul proprio scranno riceveva i visitatori che, con ordine, si avvicinavano solo per farsi imporre le mani sulla testa. Era grassa e imponente, vestita tutta di giallo, e con uno stuzzicadenti di tanto in tanto si tormentava denti e gengive.
Le persone che erano in fila davanti a lei, nella sua stanza a pianterreno aperta su una piazza di paese del sud Italia, avevano una varietà infinita di disabilità fisiche o malattie di ogni tipo ed età. La colonna umana, un centinaio di persone, aveva un andamento serpiforme e terminava alla fontana al centro della piazza assolata. Quella donna, tale Asclepia di Santa Maria del Miracolo fiorito (paesino sconosciuto dell’entroterra pugliese), aveva un giorno, nel negozio Alimentari e diversi’ in cui si trovava per comprare il pane, imposto le proprie manone grasse sulla testa di un uomo nato nano che le ostacolava il cammino nello stretto corridoio che portava al bancone, per scansarlo non senza una certa scortesia. Il negozio, l’unico nella piazzetta, era affollato di gente strana, nuova, un piccolo circo era di passaggio. L’uomo, sotto le mani di Asclepia, era stato investito da improvviso e forte calore, dalla testa ai piedi un fluido lo aveva attraversato mentre vedeva sua madre, suo padre, tutta la sua vita e poi la luce in fondo al tunnel; era uscito dal suo corpo e si era visto dall’alto e aveva sentito le campane e aveva sentito gli angeli e si era sentito accarezzato, baciato, ciucciato da mille mani e mille bocche in un’esperienza mistica di profonda goduria. Mentre il nano aveva la propria coscienza rapita da tanto glorioso splendore, gli altri presenti nell’alimentari avevano assistito a un prodigio straordinario: le braccia e le gambe del nano si erano allungate, tronco e testa avevano trovato nuovi rapporti e proporzioni, tutto era cresciuto e si era armonizzato. A crescita terminata il nano aveva riaperto gli occhi che, mentre vedeva sua madre suo padre tutta la sua vita e poi la luce in fondo al tunnel e il suo corpo dall’alto, aveva tenuto chiusi (sperando di non vedere più tutta quella baraonda). A questo punto aveva lanciato un urlo altissimo ed era corso via dal negozio.

 

I presenti (i circensi, il geometra del paese, due vecchiette e una ragazzina apparentemente sui tredici anni, più la titolare dell’esercizio Alimentari e diversi) si erano gettati a terra in ginocchio facendosi il segno della croce. Asclepia, lungi dall’attribuirsi alcuna responsabilità dell’accaduto, era rimasta impassibile, per niente turbata.

Nei giorni successivi il paese era impazzito. Miracolo miracolo miracolo. A partire da quella bottega la parola si era ripetuta, si era moltiplicata, si era arricchita di aggettivi qualificativi e non aveva cessato nemmeno per un giorno di essere pronunciata; era uscita dal paesello e veniva ripetuta così trina, miracolo miracolo miracolo, con lo stupore del primo momento. Il parroco l’aveva riferita al vescovo, il vescovo era partito per Roma, il Vaticano si era preoccupato. Perché la gente partiva anche da lontano e andava dalla grassa vestita di giallo. Che intanto si era chiusa in casa e negava.

Erano arrivati giornalisti, operatori televisivi, medici. Il prete del paese si rifiutava di rispondere a chiunque ma la Chiesa, a Roma, si agitava. Parlare di miracolo era assolutamente impossibile ma, nello stesso tempo, quella storia non aveva nessuna giustificazione scientifica e razionale. Molti alti prelati temevano che se la cosa fosse stata giudicata soprannaturale e nello stesso tempo fosse stato escluso il prodigio cristiano, il monopolio delle ‘cose meravigliose’ da parte di santi e potenze cattoliche sarebbe stato compromesso per sempre. Se in questa vicenda non fosse stato possibile stabilire la santità di Asclepia, che cosa sarebbe successo? Un evento così clamoroso come un nano che improvvisamente non è più nano rischiava di non essere giustificato come opera della Madonna o di un santo cattolico, e questo infastidiva cardinali, vescovi, semplici preti e lo stesso Papa. Perché non era successo a Lourdes? La Chiesa per il momento taceva ma i ben informati parlavano di un clima di nervosismo che si andava diffondendo. Si era di fronte a un evento miracoloso, così sfacciato nelle sue proporzioni da avere tutte le caratteristiche di prodigio altrimenti inspiegabile. Quale fenomeno soprannaturale dei nostri giorni è così magnifico? Bisogna tornare troppo indietro nel tempo per avere qualcosa di simile. Chi è che ai nostri giorni uccide draghi, moltiplica pane e pesci o cammina sull’acqua? Oggi i santi mantengono un basso profilo, al massimo guariscono qualche malattia che può anche risolversi da sola. Si è mai visto un santo che fa ricrescere un arto amputato? No, forse perché sarebbe evento troppo volgare e sovraesposto. Probabilmente i santi sono dotati di anime raffinate e rifuggono i riflettori. Già, la spettacolarizzazione li infastidisce; salvo poi incontrare un santo come Padre Pio con le stimmate ben inquadrate dalle telecamere ma, si sa, i disegni di Dio sono imperscrutabili.

Certo, poter parlare di santità di Asclepia era escluso. La donna, sulla settantina, la grassa più grassa di tutte le sue compaesane, aveva avuto una vita spettacolare. Sempre vestita di giallo, e in gioventù dotata di forme appetitose non ancora appesantite da anni di golosità, aveva vissuto della propria seduzione ricavandone un reddito non disprezzabile in quello sperduto paese, arso e meschino, incastrato al centro dell’Italia del sud, così difficilmente raggiungibile da qualsiasi luogo della costa. I suoi vent’anni erano stati belli e senza prezzo. Così Asclepia, felice ed orgogliosa della propria bellezza, il prezzo lo aveva sempre deciso lei e in tanti lo avevano accettato.

Ora si godeva i proventi della sua attività, mangiando abbondantemente, allevando canarini e vestendosi sempre di giallo. In chiesa non andava mai e quando si sentiva un po’ triste non pregava ma faceva una passeggiata lunga e solitaria, sorridendo a tutti e a tutto. Così il malumore le passava e l’ottimismo tornava ad albergare nel suo cuore.

Ora, quelle sue manone esperte in giochi erotici avevano trasformato la vita di un nano.

Il parroco, il vescovo, Roma, non avevano più pace: il prodigio del nano era eclatante ma era anche evidente che Asclepia non aveva nessuna caratteristica di santa cattolica. Farsi scippare così il monopolio dei miracoli avrebbe provocato una catastrofe. Parlare del diavolo, della magia nera, di streghe? Poteva essere una soluzione ma avrebbe comportato il rischio di una ‘fuga’ di fedeli: un buon numero di persone avrebbe potuto valutare che, tutto sommato, visto come erano andate le cose, il diavolo e le streghe non sono poi tanto male e forse sarebbe stato conveniente cambiare parrocchia.

Dopo i giornalisti, gli operatori televisivi, i medici, erano cominciati ad arrivare i malati. Asclepia, chiusa nella sua casa al centro del paese, aveva cercato di schivare quella gente. Ma le suppliche avevano sempre avuto presa sul suo cuore generoso. Ricordava i tempi della giovinezza, quando dietro la porta si affollavano gli uomini della zona aspettando il proprio turno, pieni di calore. Perché Asclepia aveva sempre appassionato i propri clienti e molti se ne erano innamorati così follemente da pregarla di sposarli, di amarli, di fuggire con loro.

Ora dietro la porta, dopo anni, si era andata creando una nuova folla di supplici. Il terzo giorno Asclepia aveva preso la poltrona migliore del proprio salotto, gialla, e l’aveva collocata di fronte all’ingresso della propria casa e aveva aperto la porta. Si era seduta e aveva cominciato a ricevere. Da quel giorno, uno alla volta, gli speranzosi le si paravano davanti porgendo la testa. Li toccava tutti. Senza lamentarsi e senza fermarsi mai. I visitatori uscivano da quella casa senza nessuna guarigione ma sorridendo e con una gran voglia di mangiare e passeggiare. Persino chi era sulla sedia a rotelle e chi camminava con enorme difficoltà usciva da quell’incontro con una gran voglia, allegra, di fare due passi.

Il tempo passava, tra una minaccia di scomunica e una dichiarazione del portavoce CEI, tra un cardinale e l’altro. Un prete aveva provato ad avvicinare Asclepia, l’aveva definita ‘nuova Maddalena’ ma la grassa non era pentita della sua vita, anzi ne parlava contenta e orgogliosa, a un certo punto aveva parlato anche di un prete suo vecchio cliente, farla tacere era impossibile, lei rideva e mandava baci.

E così, al tempo della giornata caldissima che si sta chiudendo nel racconto, sono passati due anni dal giorno del nano e nel frattempo Asclepia si è comprata nuovi vestiti gialli e canarini per accogliere meglio i pellegrini. Si concede del tempo solo per fare quello che ama di più: passeggiare per le vie.

Il parroco ha abbandonato il paese e nessuno ne sente la mancanza.

Le giornate sono calde e il sole è più giallo.

 

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Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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