Per una cultura diffusa come valore condiviso

Art. 9 della Costituzione
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

 1. Premessa

Perché non si parla più di politica culturale? Perché la sinistra sembra da tempo aver abbandonato questo tavolo? Quale potente argomentazione ha fatto sì che in Italia da decenni si assista a uno smantellamento e a un depauperamento evidente di tutto il comparto cultura? Perché l’attività intellettuale viene spesso percepita non come una riflessione in grado di elevare, emancipare la condizione umana, bensì come un intralcio inutile e pedante che genera futile garantismo e ingiustizia? Potremmo attribuire questa involuzione come il risultato del berlusconismo prima e del populismo dopo, ma forse la radice del problema è soprattutto la totale assenza di una politica culturale della sinistra o, nei casi più felici, nell’elaborazione di un programma privo di una visione d’insieme e indirizzato spesso verso limitati correttivi.
La cultura avrebbe potuto essere il vero motore di questo paese ma è invece stata mortificata a ogni livello attraverso sconsiderati tagli ai fondi: dall’istruzione alla ricerca, dai beni culturali allo spettacolo. Per non parlare delle categorie dimenticate e derubate della propria dignità professionale: insegnanti, artisti, musicisti, ricercatori, lavoratori dello spettacolo, professionisti dei beni culturali, solo per citarne alcune. E infine il falso mito della cultura che deve necessariamente produrre occupazione e business perché possa accedere a finanziamenti tagliando fuori le esperienze di quelle associazioni no-profit che per anni hanno tenuto viva la scena artistica del paese. Chi se non la sinistra si doveva occupare di tutto questo?
Una forza politica progressista non può disattendere al suo ruolo di propulsore di una cultura diffusa e pubblica che con la sua azione alimenta profondità di pensiero e progettualità sostenibili. Perché affermare il valore etico della cultura è riconoscere il diritto alla conoscenza e alla formazione delle nuove generazioni, un diritto che ci rende cittadini e non clienti.

logica vs immaginazione


2. Programma: per una cultura diffusa come valore condiviso

L’obiettivo è rilanciare e salvaguardare la cultura come valore condiviso e identitario, come collante sociale in grado di promuovere la circolazione del pensiero umanistico in senso contemporaneo, in netto contrasto con una concezione del sapere esclusivo, utilitaristico e clientelare. Un obiettivo che può essere raggiunto attraverso l’interazione dei principali pilastri della cultura: istruzione, spettacolo e beni culturali. Innescando cioè un circolo virtuoso che liberi risorse strutturali e creative, valorizzi le professionalità e il lavoro intellettuale, alimenti il patrimonio artistico e coinvolga nuove fasce di pubblico creando i presupposti della rinascita di una reale e continuativa attività occupazionale e produttiva in ambito culturale. Una attenzione rivolta non solo agli scenari attuali, ma anche a quelli che saranno gli sviluppi futuri dei nuovi media e le relative conseguenze sul piano sia culturale che lavorativo.

Oggi ogni iniziativa legata al public engagement è ormai diventata una priorità assoluta. Ma la ricerca di un allargamento dell’audience non deve portare a uno svilimento qualitativo delle varie professionalità e dell’offerta culturale che non tenga conto delle peculiari differenze esistenti tra arte e intrattenimento.
Una delle principali problematiche create dall’assenza di una politica culturale diffusa è stato certamente il progressivo assottigliarsi del numero degli spettatori nei confronti di espressioni artistiche non mainstream, ovvero non appartenenti al gusto dominante o alla politica dei grandi eventi. Una maggiore tutela del patrimonio culturale in senso classico e, nello stesso tempo, un più incisivo sostegno verso le manifestazioni artistiche più contemporanee, dovrebbe essere un compito prioritario e indispensabile dello Stato e certamente darebbe un impulso innovativo a tutte le realtà produttive favorendo il rilancio qualitativo di tutta la scena culturale nazionale.


2.1  La scuola come volano della produzione culturale e del circuito di distribuzione artistica

La profonda crisi che ha sofferto tutto il settore culturale si è manifestata non solo per i famigerati tagli che la spending review ha imposto – ben oltre il limite che possa sopportare un Paese depositario di un tale patrimonio artistico – ma per le conseguenze di un generale ridimensionamento dovuto alla metamorfosi epocale che l’avvento del web e del digitale ha comportato, sia nel mercato odierno che nella partecipazione del pubblico: dalla chiusura di cinema, teatri, orchestre, festival, associazioni culturali allo streaming indiscriminato, dall’affermazione dei nuovi media alle diverse abitudini e modalità di fruizione dello spettacolo.
Le istituzioni scolastiche possono oggi essere il volano della produzione culturale attraverso la creazione di un circuito di distribuzione artistica, alternativa a quella tradizionale. Un progetto di riorganizzazione culturale che parta dalle strutture pubbliche delle scuole, licei, e università come polo culturale e ricettacolo produttivo. Un processo che già avviene parzialmente con alcune esperienze di programmazione musicale o cinematografica all’interno del polo museale nazionale. Una maggiore interazione tra produzione culturale e scuola può inoltre generare un circuito compatibile a integrare in ambito didattico la circolazione di opere di interesse culturale e realtà artistiche nazionali che faticano a trovare una distribuzione nei tradizionali canali commerciali dell’industria dello spettacolo. La scuola inoltre può favorire, nell’ambito della programmazione formativa extracurricolare, la valorizzazione e il ricollocamento di figure professionali attualmente in sofferenza o non ancora radicate nella realizzazione di progetti di edutainment che coniughino le nuove arti digitali con la conoscenza del patrimonio artistico e dei beni culturali presenti nel territorio.

2.2  Investire nella valorizzazione dei beni culturali riconciliando promozione e tutela

Con l’articolo 9 della Costituzione i nostri padri costituenti hanno voluto sottolineare il valore politico e civile del nostro patrimonio, inteso come mezzo essenziale per realizzare in maniera piena ed effettiva la cittadinanza di tutti e di ciascuno, vero sostrato capace di far crescere lo spirito repubblicano e il senso di appartenenza a una comunità. Per questi motivi, i beni culturali e storico-artistici sono mezzi essenziali per la crescita della responsabilità̀ civica e del rispetto della legalità̀, mezzi di cui noi, come cittadini, siamo custodi. In questi anni, al contrario, si è avviato un processo di privatizzazione e di commercializzazione dei beni culturali e ambientali. Le riforme che si sono succedute hanno progressivamente ridimensionato il ruolo del pubblico a favore di una deregolamentazione, che ha finito per delineare una sterile commercializzazione del nostro patrimonio artistico e culturale. Le cosiddette privatizzazioni, dirette o indirette, hanno infatti permesso ai concessionari di trattenere per sé la stragrande maggioranza, quando non la totalità, dei profitti derivati dalla gestione dei beni culturali, lasciando che a gravare sul bilancio pubblico e sul costo del lavoro fossero le inevitabili e necessarie spese per la loro conservazione e manutenzione, venendo meno anche a quel principio di “scambio virtuoso” tra i due ambiti spesso citato a sostegno di questo tipo di gestione.
È ora che lo Stato riprenda il ruolo che la Costituzione gli affida. Dobbiamo tornare a una strategia in cui la Repubblica assuma la promozione della cultura e dei suoi beni come una missione, che fa parte della sua stessa natura costituzionale. Affinché ciò sia possibile, è necessario, oltre all’incremento degli investimenti pubblici e al riconoscimento delle professionalità operanti in quest’ambito, riconciliare tutela e valorizzazione dei beni culturali. Occorre superare gli effetti perversi delle ultime riforme Franceschini e Madia, diversificando gli investimenti, restituendo peso e dignità al sistema delle soprintendenze e combattendo in generale i tentativi di decontestualizzazione del patrimonio artistico e archeologico dalla normativa di tutela; in tal senso occorre cancellare la disciplina del cosiddetto silenzio-assenso sulle pratiche che riguardano i vincoli di tutela, ripristinando un ruolo di effettivo controllo del Ministero e garantendo a tutto il sistema territoriale di tutela la necessaria autonomia di intervento e decisionale, riconoscendo così il ruolo determinante delle comunità locali nella tutela del patrimonio diffuso.

2.3 Web e diritto d’autore: riconoscimento e diritti del lavoro creativo e intellettuale

Storicamente il lavoro artistico e intellettuale ha sempre incontrato difficoltà nell’essere tutelato. Oggi più che mai perché non è venuta solo meno l’applicazione sistematica del diritto d’autore ma spesso anche quella del diritto alla retribuzione lavorativa. In questo senso è esemplare il caso del bando “Notti al Museo” emesso e poi ritirato nel 2014 dal MiBACT del ministro Franceschini dove veniva richiesto ai musicisti di esibirsi gratuitamente e con le spese a proprio carico. Garantire l’accesso all’informazione, alla conoscenza e ai contenuti artistici non può nel contempo ledere i diritti degli operatori culturali, degli autori e degli editori, gravando o addirittura annullando i compensi a loro dovuti.
Come l’acceso dibattito sulla direttiva europea sul copyright ha ampiamente dimostrato, occorre fare ormai chiarezza sul rapporto molto conflittuale tra diritto d’autore e web. Le normative vigenti sono spesso state superate dalla veloce evoluzione del mercato favorito dalle nuove tecnologie. È un fatto assodato che l’attività professionale degli autori e della piccola e media editoria, nell’accezione più generale del termine (dalla musica alla carta stampata), è stata fortemente penalizzata dall’avvento del web. Un intero comparto si è dissolto nel giro di un decennio (negozi, edicole, cinema, case editrici, testate giornalistiche fino ad arrivare agli studi cinematografici e musicali, attività professionali legate alla riproduzione e stampa). Il passaggio storico dal mercato tradizionale a quello digitale, che eppure ha avuto esiti positivi in altri settori lavorativi, per molti motivi non ha dato gli effetti sperati in ambito culturale. In prima istanza perché, sottovalutando la crescita esponenziale del mercato digitale, l’istituto giuridico del diritto d’autore non è stato applicato sistematicamente nel web. Da tempo infatti il copyright viene percepito come una sorta di imposta tributaria e non per quello che invece effettivamente è, cioè il riconoscimento remunerativo del lavoro dell’autore di un’opera. L’applicazione su larga scala di questa errata convinzione ha prodotto l’opinione che essendo una tassa potesse essere abrogata. Inoltre la conseguente abitudine ormai consolidata da parte degli utenti di scaricare gratuitamente e illegalmente contenuti artistici nella cosiddetta forma liquida (file di film, musica, ecc…) ha fatto mancare ad autori ed editori quei proventi che ne garantiscono la sussistenza. La svalutazione del lavoro artistico e intellettuale ha infine progressivamente consegnato ai colossi del web (Google, Spotify, Youtube, etc…) la gestione e il monopolio del mercato dell’editoria mondiale a condizioni commerciali molto più che vantaggiose. Uniformare e declinare la regolamentazione del mercato tradizionale a quello digitale, in particolare nell’applicazione del diritto d’autore, è una necessità improrogabile per la produzione culturale e intellettuale e per la salvaguardia delle professioni creative. Un’applicazione attenta ed equa di questo principio non può essere strumentalmente considerato come una limitazione della libertà di informazione. ma un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che, all’art. 27, comma 2, riconosce il valore supremo dello sforzo dell’ingegno umano, con le seguenti parole: “Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore”.
Infine, occorre integrare con maggiore trasparenza quelle attività di volontariato che spesso in ambito culturale hanno convissuto con quelle professionali. Nell’ultimo decennio infatti una concezione distorta – complice la mancanza di fondi pubblici, la crisi del settore privato e regole di mercato sempre più competitive – e un utilizzo generalizzato hanno messo   in rotta di collisione con la sussistenza di molte figure professionali e artistiche. Di fatto il ricorso diffuso e massificato al volontariato ha reso ancora più deboli i diritti e le tutele delle professionalità specializzate, togliendo oltretutto valore alle competenze, causando uno scadimento del lavoro creativo e intellettuale e un declino degli standard qualitativi della produzione culturale.

3. Risorse economiche per la gestione e il finanziamento di arte e cultura

Un programma di politica culturale fondato su basi credibili non può che partire dalla constatazione che gli investimenti sulla cultura in rapporto alla spesa pubblica devono perlomeno corrispondere alla media europea. Secondo i dati OCSE relativi al 2015 (fonte Eurostat) l’Italia è ormai tra i Paesi UE stabilmente in fondo alla classifica di finanziamenti pubblici per l’istruzione e la formazione con il 4% del Pil (media europea 4,9%) e per la cultura con lo 0,7% (media europea 1,1%).
L’istituzione di un Fondo per la Cultura dove destinare una quota degli incassi provenienti dalla Web Tax potrebbe equilibrare questo divario. Inoltre una maggiore chiarezza e trasparenza nelle modalità, criteri e procedure rivolte alla concessione di contributi pubblici per la cultura, con un servizio di tutoring vicino ai modelli di altri paesi UE, sarebbe un’iniziativa improrogabile che andrebbe a sanare un ritardo nello sviluppo e nella circolazione di nuove progettualità: dal sostegno alle opere prime alla ricerca, dalle produzioni artistiche per la didattica ai lavori multimediali.

3.1 Contributi pubblici

Attualmente l’erogazione di sovvenzioni, contributi e sussidi per progetti e attività cinematografiche a livello nazionale (MiBAC) o regionale (Film Commission) viene concessa con criteri e modalità spesso oscure e senza un tutoraggio adeguato che segua il corretto iter procedurale, le linee guida e le eventuali criticità. Inoltre, la scarsa presenza o addirittura mancanza di un’autorità di controllo che verifichi l’effettiva realizzazione e distribuzione delle opere o attività culturali sovvenzionate, espone al rischio di indebita percezione del contributo erogato. Infine è auspicabile un incremento del Tax Credit allargato a tutte le tipologie di prodotti audio-video, come per esempio le opere multimediali.
Per quanto riguarda l’Europa, la cultura non rientra nelle competenze esclusive dell’UE perché la legislazione relativa al patrimonio culturale è di competenza dei singoli Stati. Ciò nonostante, attraverso programmi quadro come Europa Creativa, il sostegno alla cultura è stato incrementato con uno stanziamento previsto di 1,85 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Anche in questo caso in Italia, nonostante Europa Creativa abbia da tempo favorito una serie di incontri periodici su temi specifici aperti a tutti gli operatori, la difficoltà nella gestione delle domande ha contribuito spesso a rendere inutilizzati questi fondi culturali.

3.2 Contributi privati e privatizzazione

I beni culturali appartengono alla collettività ma negli ultimi decenni, attraverso leggi e decreti, la complementarietà tra pubblico e privato ha determinato una sempre maggiore preponderanza di quest’ultimo. Prima nella concessione dei servizi aggiuntivi e, in seguito, grazie a sponsorizzazioni e contributi con forme di controllo sempre più invasive. Il Decreto Sblocca Italia, per esempio, ha fornito ai comuni la possibilità di vendere il patrimonio immobiliare pubblico sottraendo al MiBACT la valutazione dell’eventuale valore storico e culturale di un immobile.
È altresì importante evidenziare i criteri con i quali le fondazioni gestiscono la produzione e la programmazione artistica degli spazi che le vengono affidati. La privatizzazione dell’offerta culturale è a volte talmente estesa che i programmi delle stagioni rivelano spesso palesi aspetti di natura clientelare, con la formazione di cartelli di produzioni di riferimento standardizzate.
È necessario, perciò, valutare attentamente l’impatto del privato, sia sul patrimonio culturale che sulla gestione artistica, con misure e decreti che garantiscano la presenza di un’autorità di controllo nazionale a tutela della corretta conduzione e amministrazione delle concessioni.

A volte le idee seguono percorsi particolari. Quello che avete letto è una sorta di messaggio in una bottiglia con una storia emblematica e curiosa che parte da una mia personale diatriba con Salvini, passata agli onori della cronaca nazionale, alla quale è seguito un articolo scritto sul mio blog. In seguito – con una stesura ampliata, alla quale Alessandro Sitta ha collaborato al capitolo dedicato ai beni culturali – è approdato come contributo ai lavori della fase costituente di LeU per poi essere ereditato come documento dell’ultimo convegno di Articolo Uno MdP. Sono quindi molto felice di vederlo infine accolto qui, perché continuo a pensare che la politica culturale sia uno degli elementi che determinano il valore e la qualità della vita di una società. L’esperienza dirompente di Grande come una città lo conferma più di ogni parola.
(Marco Testoni)
Grande come una città
Grande come una cittàhttps://grandecomeunacitta.org
Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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