Allora, prima di cominciare a parlare del romanzo giallo in Italia, dovremmo dire che, per certi versi, il romanzo giallo non esiste. Cioè, ‘romanzo giallo’ non significa niente, è un’anomalia tutta italiana. Magari lo sapete già, ma la definizione nasce nel 1929, quando la Mondadori lancia una collana di romanzi polizieschi da edicola chiamata Il giallo Mondadori. I libri hanno la copertina gialla.
Da quel momento, tutti i romanzi di genere diventano romanzi gialli.
Quindi, adesso parliamo di qualcosa che non c’è.
Sembra una sciocchezza, e invece ha senso.
Infatti, dopo avere detto cosa si intende generalmente in Italia per romanzo giallo, dovremmo fare una distinzione tra il giallo stesso, il noir, il thriller, e gli altri vari generi del genere. Ma forse, a pensarci bene, è impossibile.
E già questo ci dice la prima cosa importante, e cioè che il giallo, il poliziesco, ormai è ibridato e contaminato con gli altri generi del crime, e che i confini tra questi sono sempre più sottili.
Prendiamo come esempio alcuni scrittori e alcune scrittrici ‘di genere’, prendiamo Giancarlo De Cataldo, Massimo Carlotto, Carlo Lucarelli, Maurizio De Giovanni, Sandrone Dazieri, Giampaolo Simi, Antonio Manzini, Loriano Macchiavelli; prendiamo Margherita Oggero, Ilaria Tuti, Alessia Gazzola, Gabriella Genisi, Paola Barbato, Marilù Oliva, Patrizia Rinaldi, Grazia Varesani.
Sono autori e autrici che vengono spesso definiti giallisti e gialliste, eppure tra loro ci sono differenze radicali e profonde.
Loriano Macchiavelli ha scritto, e scrive gialli: Sarti Antonio, un poliziotto, un omicidio, un’indagine, la scoperta del colpevole. Carlo Lucarelli, con De Luca, scrive gialli. Marilù Oliva con Micol Medici. Citiamo loro tre in quel gruppo. Ma se intendiamo come giallo un romanzo nel quale un omicidio rompe l’ordine buono delle cose, e la soluzione del caso lo ricompone, beh, allora nemmeno Macchiavelli, Lucarelli e Marilù Oliva scrivono gialli in senso classico.
Questo è forse il cambiamento più profondo. Il giallo classico, la detection story è una narrazione consolatoria, nella quale il lettore viene sfidato come in un gioco innocuo a individuare il colpevole, e alla fine rassicurato perché la scoperta dello stesso rimette insieme tutte le certezze.
Poi, in Italia arriva Giorgio Scerbanenco e cambia tutto. Il suo Duca Lamberti è un personaggio tormentato e ambiguo, e nei suoi romanzi la scoperta della verità non rassicura il lettore, semmai lo turba, lo costringe a una riflessione.
Ancora oggi, autori e autrici come Macchiavelli, Lucarelli, Oliva seguono quello stesso percorso. La rivelazione dell’identità dell’assassino e del movente che l’ha spinto a uccidere non ci acquieta, noi lettori, anzi ci sconvolge, ci fa da specchio rispetto alle nostre miserie, e porta quasi a forza a guardare ciò che ci circonda.
E tutti gli altri e le altre? Scrivono romanzi crime, punto. Thriller, legal thriller, noir, polizieschi, procedural, mistery, commedie nere. E spesso, questi autori e queste autrici, declinano il crime in maniera diversa da romanzo a romanzo. Non solo sono diversi tra loro, ma cambiano da un libro all’altro.
Ma un elemento in comune c’è. Sono autori e autrici di successo. I loro romanzi vendono molte migliaia di copie, diventano film o serie tv, vengono tradotti all’estero.
E così arriviamo alla seconda cosa importante: il giallo – chiamiamolo comunque in questo modo per comodità – piace, piace tanto, conquista lettori e spettatori.
Gli scrittori e le scrittrici italiane di giallo reggono il confronto con gli stranieri, con i mostri sacri internazionali. Le serie tv crime italiane, tratte da romanzi, tengono testa a quelle che vengono da fuori.
Montalbano, Rocco Schiavone, L’ispettore Coliandro, I Bastardi di Pizzofalcone, Quo vadis baby, L’Allieva.
Questo fatto, in un panorama editoriale sempre più asfittico, è straordinario.
Gli italiani leggono sempre meno, ma leggono sempre più romanzi gialli.
Certo, come in ogni fenomeno che si espande e si allarga, ci sono derive e risacche. Tutti gli scrittori corrono a scrivere romanzi gialli, perché tutti gli editori corrono a pubblicarli, perché tutte le librerie corrono a riempirne gli scaffali.
La conseguenza matematica è che aumentando il numero di romanzi gialli, aumenta la probabilità che molti di questi siano mediocri o scadenti.
Siamo circondati da commissari bonari e simpatici che risolvono le indagini tra un pranzo e una cena descritti minuziosamente, portata per portata, in libri che sembrano più ricettari o guide gastronomiche che non crime novel.
C’è una folla, là fuori, di integerrimi marescialli dei carabinieri dal formidabile fiuto investigativo che nella provincia più profonda affrontano casi scottanti.
E soprattutto c’è un assedio di improvvisati scrittori di gialli che non hanno la più pallida idea di come si costruisce una detection, di come innestare e mantenere la tensione narrativa, di come sciogliere i fili del racconto con i colpi di scena, che non sanno niente di procedura penale italiana e ricalcano male quello che hanno visto nei film americani, per i quali sono tutti ‘commissari’, o ‘ispettori’ perché non conoscono le qualifiche di Polizia.
Un po’ ingenui, un po’ arruffoni, un po’ cialtroni.
Ma basta leggere, che ne so, l’ultimo Gorilla, La danza del Gorilla di Sandrone Dazieri, La signora del martedì di Carlotto, o Zoo di Paola Barbato per capire che il giallo italiano produce sempre guizzi eccellenti. Tocca sempre picchi incredibilmente alti.
E comunque, quel gruppo di autori e autrici, non ha in comune soltanto il successo, ma anche – sempre nella loro diversità – un radicamento vero e profondo nella realtà.
Ecco la terza cosa importante. Il romanzo giallo italiano racconta il reale, e racconta mondi, piccoli o grandi.
Pensate ai primi romanzi con protagonista l’Alligatore di Massimo Carlotto, pensate a cosa ci fa scoprire dell’apparentemente placido e operoso Nord-Est. Pensate a Suburra di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini che anticipa Mafia Capitale e scoperchia Roma. Pensate alla Bologna di Grazia Nigro e Carlo Lucarelli, o di Giorgia Cantini e Grazia Verasani. Pensate alla Milano sempre del Gorilla e di Sandrone Dazieri. Pensate a Genova e al vicequestore Nigra di Ronco&Paolacci. Pensate alla Versilia di Giampaolo Simi.
Tutti loro ci hanno raccontato un pezzo di mondo che credevamo di conoscere, più o meno superficialmente, e ci hanno mostrato che no, non è vero, non sapevamo nulla. Niente è come sembra.
Nell’epoca dei social in cui tutto scorre rapidissimo, e sembra vicino senza mai esserlo, con Internet che ci bombarda di informazioni, il romanzo giallo degli scrittori e delle scrittrici italiane ingaggia una lotta con il presente, con il passato prossimo, con la cronaca, con la Storia, e attraverso trame e personaggi tenta di raccontarcelo, di decifrarlo, di dare un minimo ordine al caos, o di rendere quel caos almeno intellegibile.
E questo è forse uno dei motivi per cui il giallo italiano conquista i lettori. Per questa lotta e confronto e tentativo di racconto di ciò che siamo e di ciò che abbiamo attorno.
Quarta cosa importante: in questo senso – di nuovo, con mille declinazioni differenti – il romanzo giallo italiano è un romanzo civile.
Non politico, non morale. Civile.
Perché non guarda tanto ad altri modelli letterari, perché non guarda verso l’alto ma verso il basso, perché si sporca le mani con il quotidiano, con il fango sommerso, con la società e con la natura umana.
Perché i personaggi che popolano i romanzi gialli si trovano davanti a delle scelte, e come noi tentano faticosamente di distinguere tra il bene il male, tentano di tirare una linea di demarcazione, per quanto imprecisa e sempre provvisoria.
Negli anni della post-verità, il romanzo giallo non cede, non arretra, continua a cercarla una minima, piccolissima verità – imperfetta come la demarcazione tra il bene e il male – perché è necessaria per vivere.
Ed è civile, il giallo, perché attraverso il racconto di un crimine, e di un’indagine, racconta il nostro tempo, e noi che lo abitiamo.
Noi. Gli uomini, le donne, le persone.
E siamo alla quinta cosa importante, l’ultima: il romanzo giallo, è un romanzo umano. Racconta uomini e donne, racconta pulsioni, grandi amori, orrori, piccolezze e atti di coraggio.
Il giallo mette in scena personaggi che ci sono vicini, che ci assomigliano terribilmente, e al tempo stesso ci mostrano il nostro lato più oscuro e segreto.
Il racconto di un’indagine, o di un fatto criminale, è sempre un racconto di persone. Chi sei tu? Cosa odi, cosa ami? Cosa desideri più di tutto? Cosa ti fa soffrire? Qual è la tua forza e la tua debolezza nascosta? Di che cosa hai più paura?
Se ci riflettete, sono i temi della grande letteratura.
Il romanzo giallo in Italia – oggi, nel 2020 – sta in quel territorio.
Andrea Cotti (San Giovanni in Persiceto, Bologna 1971) ha scritto Stupido (Rizzoli, 2008), Un gioco da ragazze (2008) – da cui sono stati tratti il film omonimo, esordio di Matteo Rovere nel 2008 e Marpiccolo di Alessandro Di Robilant (2009) – e il Cinese (Nero Rizzoli, 2018). Ha firmato le sceneggiature di Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (Isotta Toso, 2010), e The Lithium Conspirancy (Davide Marengo, 2012) e per la TV L’Ispettore Coliandro, Squadra Antimafia, R.I.S. Roma.