Il Giardino dei Ciliegi di Alessandro Serra

Al Teatro Argentina di Roma fino all’8 marzo, Il Giardino dei Ciliegi di Anton Pavlovič Čechov (1860-1904) per la regia di Alessandro Serra.

Čechov dichiarò che gli allestimenti dei suoi testi, per quanto di estrema cura e raffinatezza (Stanislavskij), erano mancanti dell’elemento che corrispondeva al Vaudeville e cioè all’idea che le relazioni vivendo una forma di girotondo inesauribile tra danze, canti e testo, stimolassero al sorriso se non al riso. Ma in Čechov un velo di tristezza permea sempre tutti i suoi personaggi. Il suo teatro sino alla conclusione della storia ci dice, unitamente alla soluzione, quanto groviglio ci sia in relazioni mai veramente risolte. La sua genialità sta proprio in questa specie di vortice in cui precipitano le nostre domande: Perché? Perché va via? Perché corre? Perché fugge? Perché non si ferma adesso, ora, a dirci? Le relazioni sono immaginative, sino a quando la conclusione non concede ai personaggi il valore che essi hanno sia per se stessi che per gli altri protagonisti. Nel Giardino dei Ciliegi, una delle figure interessanti è l’anziano servitore che tutto vede, tutto sa, nulla dice, sino alla fine. Una fine che diventa, però, nuovo principio.

La scena creata da Serra, immersiva in colori preautunnali, è ancora, come in allestimenti di altri registi, vagamente gioiosa, e il carattere del Vaudeville è risolto attraverso un personaggio che appare per danzare e stimolare negli altri la variabilità del gioco. Quel gioco che, come dichiara il regista, appartiene ai bambini, ma che nella commedia di Čechov si carica di un vago senso di morte velato di poesia. Nella classe borghese di quel tempo, tra i giochi di società si usava anche: mosca cieca o l’occupazione di sedie di cui la mancante, rispetto ai partecipanti, costringeva a corse e a risate che nello spettacolo vengono piacevolmente evocate, sospendendo quel velo di morte, che contraddistingue il testo.

Il padre di Čechov era un uomo violento sia verso i figli che verso la moglie e molto bigotto. Čechov dirà: […] Il dispotismo è tre volte criminale e ricorda con tenerezza solo la madre, un femminino ricorrente nei suoi testi.

La mia generazione ha potuto vedere più allestimenti e, dunque, può operare confronti.  Rimane nella memoria di tutti quello di Strehler, la cui scelta estetica giocava sul bianco maculato dai petali sospesi sul cielo del palco, a differenza di quello di Alessandro Serra il cui rigore estetico proietta colori preautunnali di un tempo in cui (fine ’800) i ‘climi’ in Russia erano più rigidi. Il Giardino dei Ciliegi deve essere venduto il 22 di agosto, al termine dunque dell’estate. Un’estate che annuncia che qualcosa si perderà per sempre e i pensieri ondeggiano tra passato e presente privi di proiezioni future, ad accezione dell’idea di lasciare Mosca per Parigi. Il Giardino sarà venduto per costruire case. Come e perché un così grande e bel giardino che in primavera fiorisce regalando immagini di bellezza, deve essere abbattuto? Perché le ciliegie non le mangia più nessuno e la nuova generazione se ne frega di quella bellezza che perderà; vuole danzare, cantare e il denaro occorre per sopravvivere, progettare i sogni che, come tali, saranno inattuabili. Ma vendere il Giardino vuole anche dire fare i conti con il tempo e i ricordi invisibili che hanno costruito spazi interiori e molto diversi, tra gli uni e gli altri, le une e le altre. Cosa resterà del passato? Lo sgomento di uno spazio con alberi abbattuti? E cosa resterà del sapore delle ciliegie? Anja, la figlia di Ljubov’, s’adagia, non ha assilli, non ha ricordi, e sogna di essere catturata con un filo da un futuro carico di ciò che si può abbandonare; ricordi che lei visse ma a cui non è agganciata. Ljubov’, che perse il figlio nel lago lì accanto al giardino (il lago lo ritroviamo anche ne Il Gabbiano), è l’unica che pare comprendere cosa vorrà dire non poter più ricordare il figlio sotto l’albero del ciliegio. Ma, con la lievità che Čechov consegna e che Serra recupera pienamente della leggerezza (da non confondere con la superficialità) del femminino, Ljubov’ non piange, ma ripeterà più volte la battuta durante il testo: qui è morto il mio bambino. Il Giardino, dal momento in cui sarà abbattuto, perderà il suo valore sacrale e i ricordi si materializzano luttuosamente sia nei costumi, quanto nell’utilizzo delle luci nel retro fondale. Registicamente (con grande fedeltà a Čechov) passato e presente sono ben stretti come i ricordi e le nostalgie che sprofondano nel desiderio della dimenticanza; il ricordo è inesorabile come la verità che sta per accadere. Del suolo un tempo ricco di alberi, la cui terra viene sbattuta contro il fondale a ricordarci la caduta di ciascun ciliegio, non rimane che la terra. Čechov ci dice che ciò che resta è l’anima, soprattutto se essa è buona e pura, se cadono le muraglie, cosa resta? La gioventù e la sua speranza, forse, ma soprattutto ciò che le anime furono.

All’inizio dello spettacolo tutti i personaggi erano agitati, inquieti e sembravano vivere di gioia più che di rimpianto, mentre verso la fine dello spettacolo, la gioia scema, ritorna nei giovani il sogno del viaggio e dell’allontanamento e in Ljubov’ il ricordo della perdita di un giardino che fu anche il suo mondo interiore. Il vecchio cameriere resta solo senza neanche più la possibilità di guardare la vita degli altri e dice che senza quella vita è come se la vita stessa non fosse mai stata vissuta.

Nell’allestimento di Strehler, ricordiamo Valentina Cortese sospesa nei movimenti e nella voce come se la relazione con i suoi ricordi dovesse sempre essere sostenuta con distanza. L’attrice che interpreta Ljubov’, Valentina Sperlì sceglie invece toni e timbriche più accorate.

Di questo allestimento Alessandro Serra ha curato ogni particolare, molti i meritati  applausi, spettacolo da non perdere. 

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Grande come una città
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Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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