Ho scattato questa foto ormai un anno fa,
ma ho deciso di parlarne oggi,
perché il fare e il pensare non sempre coincidono, anzi quasi mai.
Una sera d’estate camminavo svogliatamente, con la testa tra le nuvole come sempre, e poi improvvisamente la vidi. Una mela, su un muretto, poggiata. Pensai che fosse buffo che una mela fosse lì, come mai? Qualcuno l’aveva dimenticata o era stata lasciata lì di proposito?
Passavo su quella via spesso, non tutti i giorni ma quasi, quella via in quei giorni rappresentava quel momento della giornata mio, in cui uscivo ed ero libera di passeggiare e guardare le mele sui muretti.
Tra me e lei si era creata una certa complicità, ogni volta passavo e sapevo che ci sarebbe stata e lei effettivamente era lì, una piccola certezza in un mare di contraddizioni, una visione nel deserto estivo. Ogni giorno però era un po’ più floscia, un po’ meno appetente, ed io pensai di dovermene prendere cura; che magari se l’avessi spostata dal sole, se l’avessi messa in ombra, sarebbe durata più a lungo, ma poi conclusi che non spettava a me deciderne la sorte, che io ero solo una spettatrice di quella insolita realtà.
Ogni volta che passavo la vedevo e lei era sempre più spenta, ed io con lei, e forse non mi faceva tanto effetto, proprio perché in realtà ci stavamo spegnendo insieme. Mi piaceva l’idea di passare di lì e sapere che l’avrei trovata, anche se era stupido, perché era solo una stupida mela su uno stupido muretto, avrei dovuto già capire che ormai quella era la mia mela e quello non era più un semplice muretto.
Capitò, senza che me ne accorgessi, che non passai di lì per un po’. Capitò che mi dimenticai del nostro gioco di sguardi, della nostra appartenenza. Così passai sulla via qualche tempo dopo, e la mela era lì, ma sembrava essere rimasto poco di lei, improvvisamente era solo una mela marcia su un muretto, eppure io sapevo che quella era la mia mela e che tra di noi non era cambiato nulla. Quando la vidi lì, così secca, così sciupata, così diversa dalla mela che ricordavo, pensai che a volte basta poco per dimenticare qualcosa, pensai che non passare per quella strada non aveva fatto in modo che la mela vivesse più a lungo.
Fino a quel momento avevo sempre creduto che a ferirci di più fosse l’inaspettato, l’imprevisto che non immagini, la sfortuna, che fosse la versione più scadente di noi stessi, l’avverarsi della peggiore delle ipotesi. Ma in quel momento capii, che non era l’imprevisto a ferirci davvero, è quello che sapevano che sarebbe accaduto, ma non abbiamo fermato. È il dolore consapevole quello da cui non si esce, il rimorso quello che ci logora, quello che ignori tutti i giorni ma che ogni giorno senti più vicino, più veritiero. E guardando quella mela marcia a cui forse solo io avevo dato un valore, che capii che non è dal fato, o dal destino, che avremmo dovuto proteggerci, ma solo da noi stessi.