Manoscritti ritrovati in umide cantine, storie ripescate in polverose riviste, opere mai tradotte riportate alla luce. Cliquot è la casa editrice del recupero delle belle opere del passato dimenticate. Il nome della nostra casa editrice si ispira a Chevalier Cliquot, un mangiatore di spade di inizio Novecento. Nel circo di allora gli spettacoli di questi artisti erano spettacoli collaterali, quelli che in poche parole facevano da riempitivo.
La nostra idea, nata sui banchi del corso per redattori editoriali di Oblique Studio a Roma, è stata fin dall’inizio quella di riportare alla luce libri messi in secondo piano rispetto ad altri. La linea editoriale della nostra casa editrice è stata sempre animata da questo intento di riscoperta e rivalutazione, mettendo così in discussione la scala di valori dell’editoria del secolo scorso. Una delle caratteristiche che ci contraddistingue è l’attenzione nei confronti della narrativa popolare. Si tratta in primo luogo di un’operazione culturale: in Italia – a differenza di tutti i paesi con una lunga tradizione nella narrativa di genere – la distinzione spesso aprioristica fra letteratura alta e bassa ha portato all’oblio fior fior di opere e autori. Come diceva Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Don Chisciotte è stato scritto nel Seicento, ma anche nel Settecento ha saputo rimanere attuale. Ma ci sono anche testi considerati classici che però classici non sono più, perché nessuno oggi li legge e sono tenuti vivi solo dallo studio accademico. Allo stesso modo, ci sono libri che non vengono considerati classici, ma che classici dovrebbero essere. Ecco quello che facciamo: andiamo a cercare questi volumi. La cosa che Cliquot fa non è ricercare dei testi per preservarne la memoria storica come fa Project Gutenberg o, in Italia, Progetto Manuzio. Loro si occupano di catalogazione, mettendo a disposizione testi provenienti dal passato. Ma il nostro obiettivo è diverso: vogliamo trovare dei libri in grado di trasmettere ancora qualcosa al lettore di oggi. Libri che siano attuali, che siano belli e che siano dunque dei classici. Inizialmente, nel 2015, lo facevamo soltanto in digitale (producendo una decina di titoli), ma nel 2016 siamo passati al cartaceo. Una volta deciso di fare questo grande passo, ci siamo sentiti gravare della responsabilità di portare in questo mondo nuovi “oggetti materiali”, e ci siamo detti che avremmo dovuto farlo come si deve, dato che siamo già invasi da cose di poco conto.
La filosofia è stata dunque fin da subito quella di proporre libri di altissima cura editoriale e tipografica, con materiali pregiati e una grande attenzione alla forma e all’aspetto sensoriale, affinché possa sempre essere un piacere sfogliare un nostro libro. Attualmente pubblichiamo solo quattro, cinque titoli l’anno, ovvero uno ogni tre mesi circa. Ci vuole tanto tempo a lavorare bene un libro, dallo scouting, alla redazione, alla promozione. Contiamo di aumentare gradualmente nei prossimi anni, man mano che la casa editrice cresce e si struttura, ma siamo persuasi che non sia opportuno lavorare più di dieci-dodici titoli in un anno.
C’è un problema che affligge l’editoria da tempo ed è quello della sovrapproduzione. Escono in totale decine di titoli nuovi ogni settimana, e le librerie che, per quanto grandi, hanno un’estensione finita, sono costrette a rimandare agli editori tutti gli invenduti usciti da poche settimane per fare spazio alle novità. Soltanto i libri che diventano istantanei best seller rimangono in esposizione più a lungo di due o tre mesi. Senza entrare nel complesso problema della filiera, è evidente che, in un mercato del genere, un piccolo editore che adotta la stessa strategia dei colossi (far uscire tante novità nella speranza di indovinare il best seller) non può resistere a lungo, a meno di colpi di fortuna clamorosi. È necessario attuare strategie adatte alle dimensioni dell’impresa: mantenersi fuori dal meccanismo della grande distribuzione che fomenta il circolo vizioso della sovrapproduzione; mantenere rapporti diretti con i librai affinché possano conoscere bene il catalogo e promuovere con cognizione di causa i titoli; costruire un catalogo solido di classici sempreverdi (in questo senso, con il nostro progetto editoriale di riscoperta partiamo avvantaggiati) affinché la libreria mantenga in esposizione anche le vecchie uscite e non soltanto le novità; e, infine, seguire l’indubitabile principio che se un editore pubblica pochissimi titoli all’anno è perché in quei titoli ci crede e c’è la probabilità che siano in effetti di valore, mentre quando un editore “spara nel mucchio” pubblicando troppo, la qualità media dei contenuti (e della lavorazione) non può che risentirne. Insomma, l’idea è quella di avere pochi titoli ma ben selezionati, ben lavorati, ben promossi e che le librerie siano felici di avere a disposizione per la loro clientela anche a distanza di molto tempo dall’uscita.
Immagine: Emilio Isgrò, Dichiaro di essere Emilio Isgrò (particolare), 2008