Zero Emissioni nel 2050 (Net Zero Emission)

quando il capitalismo (potrebbe) diventa(re) rivoluzionario.

La prospettiva è molto allarmante anche se l’uomo tende per natura a minimizzare tutto quello che non vuole affrontare. Alla fine del secolo corrente la Terra potrebbe essere largamente inabitabile. E ciò per il riscaldamento globale. Questo fenomeno è causato principalmente dalla immissione in atmosfera di enormi quantità di anidride carbonica (CO2) e al conseguente aumento dell’effetto serra determinato dalla presenza di questo gas in proporzioni anche apparentemente minime (attualmente poco più di 400ppm). Altri gas contribuiscono a questo effetto ma la CO2 è quello di gran lunga più importante e l’aumento, rispetto ai livelli preindustriali, deriva principalmente dalla combustione di carbone, petrolio, metano e derivati da questi. Altri effetti contribuiscono ma in modo meno importante.

L’energia, derivante da combustibili fossili e da tutte le altre fonti conosciute viene impiegata in ogni attività umana. Nel grafico la ripartizione dei consumi finali dell’Europa nel 2017 (28 paesi – fonte Eurostat).

Il documento dell’IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia – di cui sono membri 30 paesi, fra cui l’Italia, e altri 8 ne sono associati) sulla riduzione a zero delle emissioni nasconde delle implicazioni che sarebbero a dir poco rivoluzionarie. C’è da premettere che il proponimento di arrivare a zero emissioni di CO2 nel 2050 limiterebbe l’aumento di temperatura medio a 1,5 °C, mentre altri scenari meno sostenibili porterebbero ad aumenti ben superiori.

Il riscaldamento globale è un fenomeno noto e studiato già dagli anni 70-80 dello scorso secolo, tuttavia non se ne aveva una percezione diretta. L’aumento di temperatura e i fenomeni atmosferici connessi erano ancora a livelli di rilevazione meramente strumentale. L’uomo della strada non li avvertiva.

Ora che, dal livello preindustriale la temperatura media dell’atmosfera è cresciuta di meno di un grado, questi effetti sono diventati molto più avvertibili e il problema è largamente sentito ed è diventato prioritario, a meno ancora di qualche rigurgito di negazionismo, con tutta probabilità “interessato” e mirante a difendere l’utilizzo di petrolio e carbone, principali responsabili della CO2 immessa in atmosfera.

Come si vede nel grafico di simulazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) la distribuzione di cambiamenti di temperatura (a sinistra 1,5°C e al centro 2°C comporta aumenti localizzati e differenziati nelle varie parti del mondo concentrandosi in alcune zone continentali e ai poli. Forse ancor più preoccupante è la mappa dei cambiamenti nelle precipitazioni che andrebbero al contrario a concentrarsi sugli oceani lasciando a secco, nel senso più stretto, alcune aree ora molto popolate.

Cosa si deve fare secondo la IEA?

Semplicemente ridurre a zero i 34 miliardi di tonnellate di CO2 riversate annualmente nell’atmosfera dalle attività umane entro il 2050, secondo un percorso che prevede interventi più o meno drastici in tutti i settori di produzione e impiego dell’energia.

Come farlo è il tema da loro affrontato tenendo conto delle molteplici implicazioni e conseguenze. Di seguito i principali punti della “roadmap”.

  • La rapida diminuzione dell’uso di fonti fossili, rapida ma graduale perché queste fonti vanno sostituite, e, laddove non ci si riesce, attuare la cattura della CO2 (tecnologia ancora non disponibile a livello industriale). Nei grafici (fonte IEA) si vede come ridurre drasticamente la produzione di energia da fonti fossili e contemporaneamente aumentare l’apporto di tutte le fonti non climalteranti e come ottenere la riduzione di CO2 agendo sui vari settori.
  • La sostituzione del parco veicoli con veicoli elettrici; lasciando fuori qualcosa. La tecnologia dei veicoli elettrici non è ancora pari a quella dei veicoli tradizionali ma si ipotizza in un futuro non lontano di avvicinarsi molto a prestazioni e tempi di ricarica di questi ultimi. Ciò affiancato da una riduzione della mobilità privata urbana privilegiando bici e trasporto pubblico.
  • L’utilizzo, per gran parte dei trasporti non coperti dall’elettrico e per usi industriali, di idrogeno in varie forme (anche come ammoniaca). Anche queste tecnologie, indirizzate principalmente al navale per i trasporti, e a tutti i settori industriali per i forni di riscaldo, sono in fase sperimentale, peraltro l’idrogeno pone non pochi problemi dal punto di vista dello stoccaggio e del trasporto.
  • L’utilizzo di biogas e biocombustibili laddove non si può usare idrogeno, prodotti principalmente con rifiuti e scarti, mai con prodotti altrimenti destinati all’alimentazione.
  • La massiccia produzione di Elettricità con fonti rinnovabili, in particolare solare e eolico, aumentando però anche il nucleare (altra fonte a zero emissioni). Il PV dovrebbe aumentare di 30 volte come produzione e di 20 volte come potenza installata. Ciò anche confidando in un aumento dei rendimenti dei sistemi PV (oggi per ottenere una quantità di energia come quella che si ipotizza di produrre nel 2050 si dovrebbe coprire una superficie ben maggiore di quella della Gran Bretagna con i pannelli. L’eolico dovrebbe aumentare la sua produzione di almeno 15 volte.
  • La cattura della CO2 e / o la rimozione della stessa dall’atmosfera per tutte quelle attività in cui, per diversi motivi, si continueranno ad usare combustibili fossili.
  • Massicci interventi sulle costruzioni per ridurre sprechi e dispersioni

Un programma piuttosto impegnativo. Ma fermiamoci un momento sulle implicazioni.

Da punto di vista politico la cosa principale è che tutto ciò sarebbe fattibile solo se si raggiungesse un accordo e una cooperazione fra le nazioni che non ha precedenti nella storia umana. Sempre secondo le previsioni di IEA se le nazioni non trovano un accordo il raggiungimento delle emissioni zero potrebbe arrivare intorno al 2090, probabilmente troppo tardi.

Dal punto di vista sociale questo programma implica la disponibilità per tutti i 9,7 miliardi di abitanti che popoleranno il pianeta nel 2050 di una certa quantità di elettricità, e, oltre a questo, la possibilità per tutti di poter cucinare senza inquinare. E anche questi sono obiettivi senza precedenti. Aiuterebbero a limitare la povertà con la distribuzione dell’elettricità, vista come un bene primario, per tutti. Ad oggi acqua e cibo non raggiungono una consistente fetta degli abitanti terrestri; un domani anche attraverso la disponibilità di energia si potrebbe ovviare a questa situazione. Viceversa le conseguenze dell’emergenza climatica alimentano le differenze fra ricchi e poveri nel mondo, e il perdurare della situazione porterebbe a conseguenze molto pesanti in termini migratori e di conflitti.

Sempre dal punto di vista sociale è richiesto ai cittadini del mondo, a quelli ricchi e a quelli dei paesi sviluppati in particolare, di cambiare le proprie abitudini comportamentali. Questo è il diretto contributo dei singoli; varrebbe nel 2050 2,6 miliardi di tonnellate di CO2. Si richiede ad esempio di ridurre l’uso dell’auto privata soprattutto nelle grandi città, e la sostituzione con mobilità sostenibile. Il ticket di accesso per le automobili nei centri urbani è una delle tante misure suggerite (già in atto con grande successo in città come Londra o Stoccolma, ma quando Marino lo propose a Roma successe un finimondo). Fra gli altri obiettivi riguardanti il comportamento dei singoli c’è la riduzione dei voli in particolare a lungo raggio, la riduzione dell’uso di aria condizionata (temperature non inferiori ai 24-25 °C) e riscaldamento (temperature non superiori ai 20°C).

Fra le ricadute positive sarebbe senz’altro da considerare la drastica riduzione dell’inquinamento atmosferico anche questa legata alla combustione dei fossili. Ossidi di azoto, anidride solforosa, idrocarburi incombusti e particolato, saranno sempre meno presenti nell’aria, e di questo si avvantaggeranno principalmente gli abitanti dei grandi nuclei urbani. Secondo le proiezioni IEA si dimezzerebbero le morti premature per inquinamento.

La Francia, primo paese europeo a varare un impegno di zero emissioni al 2050 ha di recente pubblicato una linea guida per raggiungere questo obiettivo. Certamente loro avendo più del 70% di elettricità prodotta con il nucleare sono molto avvantaggiati. La prima cosa che mettono in rilievo è comunque l’aspetto comportamentale, il convincere i cittadini della gravità e dell’importanza della situazione. E in effetti la popolazione non solo può e deve direttamente modificare diverse abitudini ma dovrebbe anche cambiare il proprio atteggiamento ad esempio su quello che gli offre il mercato privilegiando i prodotti a minor impatto e premiando le scelte più sostenibili anche in politica.

In conclusione di rivoluzionario possiamo individuare in prima istanza il porre in primo piano il rispetto dell’ambiente in cui viviamo, ma qui forse dovremmo parlare più di una salvaguardia dettata dall’incombenza di una catastrofe. Infatti aumenti della temperatura superiori a 1,5°C dovuti ad un mancato o limitato controllo delle emissione climalteranti, potrebbero avere conseguenze devastanti in molte regioni della Terra. Poi la necessità di un lavoro comune di tutte le nazioni, una cooperazione, come si diceva prima, senza precedenti. E ancora l’obiettivo di rendere le risorse energetiche disponibili per tutta la popolazione mondiale che arriverà ad essere nel 2050, prossima ai 10 miliardi. Questi tre fattori sembrano già irraggiungibili, stante l’attuale situazione politica mondiale. A questo si dovrebbe aggiungere la diffusione capillare di una consapevolezza sul tema fra tutti gli abitanti della terra e, in special modo, fra coloro che vivono nei paesi più industrializzati.

Tutto questo inoltre, in termini di materie prime, avrà un costo molto elevato, il litio dovrebbe essere estratto in misura 42 volte superiore alla attuale, cobalto e nichel una ventina di volte, le terre rare 7 volte. Insomma un aumento enorme delle attività estrattive che certamente non sono indenni da problemi ambientali; tuttavia a fronte di questo ci sarebbe il calo drastico nell’estrazione e produzione di idrocarburi e carboni. Tutto ciò in gran parte per fronteggiare l’enorme incremento nella produzione di batterie necessarie, oltre per la mobilità, anche per l’accumulo. E naturalmente questo suscita grandi perplessità sulle effettive possibilità di realizzazione. Anche il raddoppio della produzione di elettricità dal nucleare potrebbe allarmare qualcuno; secondo me si sono anche tenuti bassi con la previsione, ma ci si potrebbe chiedere il motivo. I motivi sono molteplici, tra questi l’impossibilità di fare fronte completamente alla produzione di elettricità con le rinnovabili. I numeri in gioco sono già elevatissimi, poi c’è la necessità di avere comunque una generazione continua, cosa che non può essere garantita dalle rinnovabili e a cui si ovvia, sempre nel piano dell’IEA, con l’utilizzo di batterie, un raddoppio dell’idroelettrico che per sua natura è estremamente flessibile anche se c’è da chiedersi come si potrà conciliare con i cambiamenti nelle precipitazioni e un grande ricorso all’idrogeno. Inoltre a differenza delle molte altre tecnologie tirate in gioco, si tratta di una tecnologia consolidata e sicura mentre gran parte del resto è basato su ipotesi di evoluzioni non ancora arrivate a livello industriale, a volte ancora allo stadio prototipale e, quindi, non si ha la certezza che conducano sempre a risultati industrialmente applicabili. Del resto fronteggiare il riscaldamento globale è più che una necessità e non farlo adeguatamente condurrà inevitabilmente a rendere inabitabili le latitudini più popolate della Terra. I rischi connessi con l’eventualità di un incidente nucleare sono, invece, minimi e chi mai sceglierebbe la certezza di finire contro un muro invece della remotissima eventualità di un incidente.

Di azzardi in questo piano di azione ce ne sono diversi. Ci si appoggia infatti su tecnologie ancora in fase di sperimentazione, si fa affidamento su miglioramenti di efficienza che si danno per scontati, anche se non ancora conseguiti; ma mentre se da un lato è ragionevolmente sicuro che l’evoluzione tecnologica darà sempre dei risultati, dall’altro sperimentazioni che sono ancora tutte da verificare, potrebbero dare risultati non in linea con quanto atteso. Ad esempio la cattura dell’anidride carbonica, settore su cui si lavora già da anni, oppure l’aumento della capacità e dell’efficienza delle batterie o delle tecnologie di produzione e utilizzo dell’idrogeno.  Insomma ci sono diversi fattori su cui incrociare le dita. Ma dobbiamo tener presente che se forse è in gioco il futuro dei nostri figli è sicuramente in pericolo quello dei nostri nipoti. E allora anche il produrre enormi quantità di batterie che nel giro di 10 o 20 anni dovranno essere smaltite e riciclate può andare in secondo piano avendone però la consapevolezza per organizzare a monte queste operazioni.

Per approfondire:

https://www.iea.org/reports/net-zero-by-2050

https://www.ipcc.ch/sr15/

http://www.epe-asso.org/en/zen-2050-imagining-and-building-a-carbon-neutral-france-july-2019/

https://ec.europa.eu/eurostat/documents/3217494/11478276/KS-DK-20-001-EN-N.pdf/06ddaf8d-1745-76b5-838e-013524781340?t=160552608300

Emilio Santa Maria, ingegnere meccanico, è responsabile del Sistema di Gestione dell’Energia di una grande azienda italiana classificata come energivora, ha esperienza pluridecennale nel campo industriale, CTU al Tribunale di Roma per impianti meccanici, sicurezza impianti nucleari, macchine industriali, metallurgia e siderurgia, auditor per i principali sistemi di gestione.

Grande come una città
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Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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