La redazione di Jacobin Italia si racconta

Questa intervista, rilasciata il 9 luglio scorso, nasce dall’esigenza di capire ed esplorare il lavoro di redazione e produzione di contenuti di Jacobin Italia, trimestrale omologo di JacobinMag USA, rivista con sede a New York, fondata da Bhaskar Sunkara nel 2011, approdata in Italia nel 2018.

 […] questo spazio vuole provare ad aggredire la realtà con contenuti approfonditi.
Redazione Jacobin Italia, Care compagne, cari compagni, 1 novembre 2018

Come è nata l’idea di portare una testata americana in Italia e che tipo di rapporto editoriale e politico intrattenete con JacobinMag, nata negli Stati Uniti per portare nel dibattito culturale il pensiero e le idee della social-democrazia e di stampo marxista?

L’idea è nata dalla constatazione di essere diventati «un paese senza sinistra» – come abbiamo titolato il nostro primo numero – e di aver bisogno di uno strumento per dividere ciò che viene artificialmente presentato come unito, in grado di ri-tracciare il campo di battaglia, ri-prendersi le parole e ri-mescolare le culture politiche.

Gli Stati Uniti sono stati per oltre un secolo un «paese senza sinistra», mentre qui da noi c’era il più grande Partito comunista d’occidente, ma negli ultimi dieci anni, prima grazie al movimento Occupy Wall Street e poi alle due campagne alle presidenziali di Bernie Sanders, è tornata nel dibattito pubblico Usa e ha radicalizzato centinaia di migliaia di giovani una parola da decenni tabù: «Socialismo». Jacobin – rivista trimestrale cartacea e di approfondimento quotidiano online – è nata nel 2010 per iniziativa di un gruppo di studenti appena ventenni ed è diventata un caso editoriale internazionale perché ha intercettato questa politicizzazione a sinistra, con uno strumento di approfondimento schierato in modo radicale, che propone un pensiero forte ma eclettico, che si pone in modo irriverente verso i «nemici» e sa dialogare con la cultura pop, cercando sempre di non usare il linguaggio gergale della politica e nemmeno quello accademico. L’idea è seguire la loro traccia in piena autonomia: la redazione italiana è completamente autonoma da quella Usa e politicamente ancora più plurale, la ricerca dell’uso di linguaggi diversi è ancora più spinta (dal saggio al racconto, dall’invettiva al fumetto, dalle infografiche alle illustrazioni) e lo scambio con loro è costante: l’accordo è che un terzo di ciò che pubblichiamo siano traduzioni di articoli da noi scelti dalla versione Usa della rivista. Sono nate anche altre esperienze di riviste legate a Jacobin (Regno Unito, Catalogna, Germania, Belgio e Brasile) e questo per noi è sicuramente un’opportunità.

Come si svolge il ragionamento collettivo che porta allo sviluppo e alla crescita del lavoro di redazione in un contesto dove, a quanto abbiamo capito, vige il principio dell’orizzontalità dei ruoli?

Tra gli addetti ai lavori si dice che contesti più gerarchici dei giornali si trovano solo negli eserciti, ma noi abbiamo provato a seguire una strada diversa – ovviamente non facile e che non sempre va liscia. Non abbiamo previsto la figura del direttore e dei caporedattori e ci siamo dati diversi strumenti per riuscire a lavorare in maniera coordinata e proficua. A monte dei numeri del cartaceo c’è sempre una riunione plenaria di redazione, che si svolge in presenza almeno due volte l’anno, o altrimenti – com’è stato negli ultimi mesi – da remoto: in queste riunioni discutiamo dei temi che vorremmo affrontare nel medio-lungo periodo, e strutturiamo i menabò dei numeri immediatamente successivi. Si creano poi dei sottogruppi, sulla base di competenze e interessi, che lavorano sui singoli numeri o seguono specifici temi per il sito coinvolgendo ulteriori collaboratori e collaboratrici, che in un anno e mezzo sono stati moltissimi. Al posto del direttore abbiamo scelto di avere un organo collettivo, il desk, che si riunisce ogni settimana ed è composto di sei persone che fanno da raccordo tra redazione e collaboratori oltre a seguire il lavoro quotidiano di costruzione materiale della rivista cartacea e online.

Che legame intercorre tra i vostri spazi di dibattito interno e il dibattito pubblico che ne scaturisce con i lettori, sia esso di conflitto o partecipazione? Come restituire questa complessità e che ruolo riveste il linguaggio, il riappropriarsi delle parole, nella redazione di un articolo o di un intero numero?

Cerchiamo sempre di stimolare il dibattito con i lettori, le lettrici e le realtà sociali e culturali che ospitano le presentazioni dei numeri e sono terreno di confronto irrinunciabile. Abbiamo fatto centinaia di presentazioni della rivista – purtroppo ora limitate a causa della pandemia – ed è proprio in queste occasioni che prendono forma nuove collaborazioni e nascono idee e linguaggi che poi diventano patrimonio del dibattito della redazione.

Quanto è importante, oggi, fare approfondimento facendo conflitto, informare mettendo in chiaro i rapporti di forza tra i dati di realtà? Secondo voi oltre alla generale crisi della carta stampata, quali altri elementi impediscono l’insorgere di voci critiche?

Le voci critiche ci sono, altrimenti non riusciremmo a fare Jacobin, ma è chiaro che si sconta l’assenza di una forza politica o movimento in grado di rendere credibile un’idea radicalmente alternativa di società. Proprio per questo è fondamentale ripartire dalle idee generate dai conflitti – che ci sono e da cui c’è molto da imparare. Per farlo però bisogna sempre scegliere in modo chiaro da che parte stare, non avere paura di puntare il dito contro i nemici e lasciare spazio alla voce di chi è oppresso, sfruttato, invisibilizzato.

Un elemento evidente, sia nella versione Usa che in quella italiana, è una attenzione alla veste grafica e alla parte visiva. Che importanza ha avuto, o ha, questo aspetto per voi, se lo ha?

È il marchio di fabbrica di Jacobin. Se questa rivista mostra una controtendenza rispetto alla crisi della carta stampata crediamo sia da un lato perché lega continuamente il lavoro online con quello cartaceo, dall’altro proprio perché la rivista non è solo interessante, ma anche bella e innovativa da un punto di vista grafico. Sfogliare la rivista dà una grandissima soddisfazione, e il gruppo di giovani illustratori e le illustratrici che collaborano con noi, sotto la guida del nostro art director Alessio Melandri, sono un fondamentale valore aggiunto: di ogni pezzo su cui lavorano colgono spesso sfumature sorprendenti, comunicandole con un medium diverso da quello verbale ma a volte anche più efficace.

Uno dei nostri maggiori desideri fin dall’inizio è stato, e resta, quello di disseminare strumenti e mezzi di conoscenza, provando a organizzare un percorso di autoformazione collettiva. La lettura di saggi, articoli, testi critici, può ancora, secondo voi, svolgere questa funzione pubblica? E come?

La nostra rivista nasce per questo, per resistere a una sfera pubblica intossicata dalla propaganda esclusivamente elettorale e dai salotti televisivi e spesso preda del commento contingente e compulsivo dei social, che altrettanto spesso scade nel gossip o nei personalismi. Noi abbiamo scelto di farlo attraverso una rivista statunitense come Jacobin per scuotere un dibattito imprigionato nel provincialismo, e utilizzando uno strumento di approfondimento e non semplicemente giornalistico per provare a invertire l’andazzo che ha sostituito l’analisi politica e sociale con l’autopsia degli umori. A giudicare dal sorprendente numero di abbonati e dalla partecipazione alle presentazioni la voglia di auto-formazione esiste, e ne esistono le potenzialità politiche. Il lavoro di Grande come una città anche lo dimostra. La sfida è far crescere questi strumenti, e anche noi stiamo pensando a nuove idee che possano far fare un salto di qualità alla strada intrapresa – che siamo convinti abbia molte potenzialità ancora non colte. La sfida è poi tradurre questo lavoro in conflitto sociale e politico, per contribuire a trasformare la realtà e non solo a interpretarla.

Citoyens di Jacobin Italia
Desk
: Giulio Calella, Salvatore Cannavò, Marta Fana, Marie Moïse, Giuliano Santoro, Lorenzo Zamponi. Redazione: Elisa Albanesi, Gaia Benzi, Marco Bertorello, Wolf Bukowski, Francesca Coin, Danilo Corradi, Sara Farris, Simone Fana, Giacomo Gabbuti, Piero Maestri, Sabrina Marchetti, Francesco Massimo, Assia Petricelli, Alberto Prunetti, Bruno Settis, Wu Ming 1. Creative director: Alessio Melandri. Webmaster: Matteo Micalella. Coordinamento con Jacobin USA: David Broder.

Nicolas Eustache Maurin, Toussaint L’Ouverture, lithographe, early 19th century
Grande come una città
Grande come una cittàhttps://grandecomeunacitta.org
Grande come una città è un movimento politico-culturale, nato a Roma, nel Terzo municipio, per promuovere l’incontro fra le persone, creare luoghi e momenti di confronto, nella condivisione di valori come inclusione, nonviolenza, antifascismo, e nel rispetto di tutte le opinioni, etnie, religioni e orientamenti sessuali.

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