Così, essendo oggi “in gioco” la parola “azzardo”, ho pensato di compiere innanzitutto un’azione di salute pubblica: demistificare l’uso corrente del termine “ludopatia”. “Ludopatia” è un combinato ibrido, greco-latino, anzi, latino-greco, che recentemente ha usurpato lo spazio concettuale indicante la dipendenza da gioco d’azzardo. Vero è che il termine potrebbe essere usato come iperonimo, estendendosi a descrivere la condizione di mania che talvolta accompagna la pratica di videogiochi, online e non, oppure a rappresentare forme estreme di coinvolgimento anche con giochi abitualmente innocui, ed anzi “nutrienti” come gli scacchi. L’uso comune che se ne fa oggi, tuttavia, è sinonimo di “patologia da gioco d’azzardo”, espressione che sarebbe ben più chiara e precisa. Nelle forme convenzionali della comunicazione scientifica la formula vigente per descrivere la condizione di “ludopatia” è: disturbo da gioco d’azzardo (DGA). Il DGA (ex-GAP, “gioco d’azzardo patologico”) è classificato da tempo nel novero delle dipendenze patologiche, essendo ormai acclarata l’ampia sovrapponibilità eziopatogenetica (origini causali di malattia), fenomenologica (modalità e forme di manifestazione) e di decorso clinico, con le corrispondenti caratteristiche delle più note dipendenze da sostanze, alcol compreso.
giòco (letter. giuòco) s. m. [lat. iŏcus «scherzo, burla», poi «gioco»] (…) Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive.
da Treccani, Vocabolario Online
Meno del 10% di coloro che soffrono per la dipendenza da azzardo si rivolge ai servizi per chiedere aiuto
In Italia ciò sembra maggiormente vero, in quanto solo recentemente (nel sistema pubblico dei servizi) stanno nascendo unità dedicate, con dotazioni di risorse umane e logistiche distinte dai SerD (Servizi per le Dipendenze Patologiche). E lo stigma, il giudizio morale purtroppo associato alle dipendenze patologiche, in particolare a quelle da sostanze, ostacola in parte l’avvicinarsi di giocatori e giocatrici d’azzardo ai servizi che hanno in carico alcolisti e “tossicomani” (dipendenti da sostanze tossiche).
Ma come si diventa dipendenti dal gioco d’azzardo ? Come è possibile, senza che ci siano di mezzo sostanze chimiche, sviluppare forme di abuso e dipendenza ? Saltando a piè pari ogni possibile digressione circa l’unicità individuale, volendo semplificare, possiamo far ricorso alla ormai classica tipizzazione pubblicata il 25 aprile 2002 da Alex Blaszczynski e Lia Nower secondo i quali le numerose variabili biologiche, psicologiche e sociali/ecologiche che contribuiscono allo sviluppo del gioco d’azzardo patologico possono essere riassunte in un modello che individua tre percorsi principali: a) condizionamento comportamentale; b) vulnerabilità emotiva; c) impulsività / antisocialità. Nel primo caso è semplicemente la “frequentazione” del comportamento d’azzardo, attraverso meccanismi di rinforzo e condizionamento, a generare un progressivo scivolamento verso l’abuso e la dipendenza. Nel secondo, previe condizioni di disagio (tratti d’ansia, depressione, isolamento, stress…) incontrandosi con un comportamento che favorisce “distrazione” dalle proprie sofferenze, esitano in forme più massicce di “evitamento”, in fughe dissociative che pur generando problemi a non finire hanno il vantaggio secondario ben riassunto da un proverbio tedesco sull’alcol: “l’alcol non è la risposta, ma almeno ci fa dimenticare la domanda”. La terza via d’accesso alla dipendenza da azzardo, che vede implicati principalmente tratti di impulsività, rifiuto delle regole, mancanza di senso del limite, è quella percorsa dalle persone “intemperanti”, da coloro che spesso già precocemente “discontrollano” in comportamenti a rischio sul piano della salute, delle convenzioni sociali o della legge, e che quindi nel gioco d’azzardo incontrano la possibilità di un’esperienza “sintonica” con la loro natura ed idea di sé.
In ogni caso, qualsiasi percorso si compia, si viene progressivamente esposti ad un crescente contatto con situazioni che determinano sovraeccitazione delle “circuiterie cerebrali” coinvolte nel senso di gratificazione e “ricompensa”, sovraeccitazione che determina disregolazione, innalzamento della soglia del piacere (tolleranza, tecnicamente) e che ci pone quindi di fronte al bivio: mantenimento, anzi aumento delle “dosi” oppure “fame neurologica”, e cioè sintomatologia astinenziale (irrequietezza, ansia, irritabilità, insonnia, stati depressivi, senso di vuoto, anedonia…). Fare i conti da soli con il profondo disagio dell’astinenza e con la contemporanea/conseguente necessità di ridefinire per sé un modo di vivere che si nutra di altre forme di gratificazione, può essere estremamente difficile per i più.
ażżardo [dal fr. hasard, che a sua volta è dall’arabo volg. az-zahr «dado»; cfr. zara] 1. In origine, gioco con i dadi che si svolge fra un banchiere e varî giocatori; (…) b. In partic., giochi d’a. (e analogam. giocare d’a., giocatore d’a.), quelli, come i dadi, la roulette, il baccarat, ecc., nei quali ricorre il fine di lucro, e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria, l’abilità avendovi importanza trascurabile.
da Treccani, Vocabolario Online
Spesso, come per le dipendenze da sostanze o da alcol, anche la dipendenza da gioco d’azzardo, da videogiochi, da smartphone, da fitness o da sesso (online o meno), è preceduta da (e/o induce) un progressivo impoverimento sul piano degli interessi e su quello delle relazioni: presi nella mania del nostro comportamento dipendente o gravitando attorno alla sostanza imprescindibile, riduciamo via via le occasioni di socialità, il numero delle relazioni significative (con persone che del resto si allontanano a loro volta, per proteggersi), e sempre meno ci appassioniamo per attività (culturali, politiche, sportive, sociali…) che sarebbero fattori protettivi per la salute in genere e per la salute mentale in particolare.
Se arrivare alla dipendenza implica un percorso, per liberarsene si rende necessario un passaggio inverso, che spesso include quella che amo chiamare “rianimazione psicologica”, e cioè il ritrovamento/ricostruzione di un orizzonte / progetto di vita dotato di senso, nel quale riusciamo ad esprimere noi stessi e dal quale traiamo stimolo / nutrimento per rigenerarci, crescere, cambiare. Anche attraverso la paziente ricognizione / ricostruzione di interessi e passioni, di forme di appartenenza, di partecipazione sociale.
Non intendo banalizzare: la dipendenza è un fenomeno universale, che si manifesta in molteplici forme le più severe delle quali affondano le loro radici in condizioni ed esperienze di natura traumatica. Va detto inoltre forte e chiaro: le dipendenze non sono “vizi” anche se talvolta (più raramente di quanto non si pensi) possono originare dall’indulgere in comportamenti “a rischio”. E l’onnipresente diffusione delle occasioni d’azzardo nella società contemporanea (al supermercato, in aereo, al bar…) generata dal sistema delle concessioni ad operatori di mercato rappresenta indubbiamente un fattore di rischio per il benessere individuale e sociale, così come per il consumo di alcol (sostanza legale) che ogni anno uccide 3 milioni di persone nel mondo.
Liberarsi da una condizione di abuso e dipendenza da azzardo si può: il primo passo da fare consiste nel superare l’isolamento. Rivolgetevi dunque ai servizi pubblici per le dipendenze (SerD) / consultori di zona (nel 3° municipio: Largo Giuseppe Rovani 5), oppure a strutture che operano nel privato sociale e i cui riferimenti possono essere trovati visitando il sito del progetto regionale Lazio In Gioco – www.lazioingioco.it “.
Claudio Delpiaz
Psicologo, psicoterapeutam presidente Psy+ Onlus