La versione di F
Nel 1995 mio padre lavorava come giornalista nella redazione del capoluogo di provincia; qualcuno deve avergli detto che i giornalisti usano il Mac (il Macintosh, all’epoca), così ne acquistò uno. C’era un programma dentro, Quark Xpress, che lui usava per impaginare le cose che scriveva. Io nel 1995 avevo ben 13 anni, e usavo quel Macintosh come un forsennato, in particolare proprio Quark Xpress perché mi divertivano le linee, le font, le parole. Del resto, altri giochi non ce n’erano, dentro quel computerone verde, o forse blu, non saprei dire perché sono daltonico.
Fare il giornalista in provincia dopo qualche anno svuota di ogni vocazione letteraria; è tanto banale quanto riduttivo da dire, eppure, almeno per mio babbo, vidi che funzionava così. Risolse di mettere su una casa editrice, così magari poteva pubblicarsi le cose che scriveva, e già che c’era pubblicare tutti quelli che, in quella provincia intestino crasso della Toscana, coltivavano qualche urgenza espressiva. Il ragionamento tornava: aveva il Macintosh, lui. Mio padre si chiama Fernando, ma avrebbe dovuto chiamarsi Ferdinando, così voleva la tradizione, io mi chiamo Francesco, ma avrei dovuto chiamarmi, per quella stessa tradizione, Gennaro. Visto che mi era stato dato, in modo piuttosto ribelle, il nome con la effe (il più comune d’Italia, peraltro), nel 1990 i miei decisero che pure mio fratello doveva avere una effe iniziale, e lo chiamarono Federico. Una realtà editoriale non ha bisogno di nomi altisonanti: nei casi in cui ce l’ha, nasce il sospetto che la fantasia si sia esaurita per dare il nome alla casa editrice, evitando di usarla per i contenuti editoriali, invece. Così mio babbo decise che il suo marchio per pubblicazioni si dovesse chiamare con le iniziali dei maschi della casa, e fu effequ, scritto per esteso, con la U dopo la Q perché sennò si rischiava di farla suonare come una K.
Era il ’95, e da allora fino al 2001 mi ritrovai in mezzo alle piccole pubblicazioni della mia terra, aiutando quanto potevo, almeno come pretesto per mettere le mani su Quark Xpress. Nel 2001 me ne andai a studiare a Firenze, c’erano 3 treni che portavano lì, e tutti ci mettevano 4 ore per arrivare al capoluogo della nostra Regione. Non importava: io andavo, ciao paese. Tornavo per le fiere editoriali, a Roma in particolare, nel Palazzo dei congressi. Era divertente: alle sette andavamo sempre a prenderci le Tennent’s e ridevamo. Voglio dire, ridevamo anche prima, ma con la Tennent’s ridevamo di più, solo per il fatto di averla bevuta.
Dopo la laurea in filosofia e la paternità, arrivate praticamente in contemporanea nel 2006, mi sono allontanato un po’ da effequ, che comunque continuava a sopravvivere. Data la laurea, ho fatto ogni lavoro precario o meno che mi capitasse: tra i più significativi il commesso in libreria, il lettore di testi in portoghese e spagnolo, l’educatore in un Centro diurno psichiatrico, il capro espiatorio in un Parco per eventi, il consulente filosofico in un’Associazione che si occupava di DCA, l’organizzatore di stagioni teatrali. Nel frattempo, di tanto in tanto, continuavo a dare una mano a effequ: in particolare leggevo manoscritti e impaginavo; nel frattempo da Macintosh si era passati a Mac, diminutivo dovuto al successo, e da Quark Xpress si era passati ad Adobe InDesign, che era più ganzo.
Quando nessuno dei lavori frastagliati e smangiucchiati si rivelò durevole, decisi di buttarmi del tutto nella piccola casa editrice, che nel frattempo aveva una distribuzione nazionale e un po’ di credito, perché comunque mio babbo ci aveva messo un sacco di cuore. Diventai redattore in pianta stabile, poi addirittura editor. Cominciai un vai e vieni con Firenze, dove avevo qualche amico e dove magari i libri si leggevano un po’ di più (niente di che, a dire il vero, ma sempre un po’ di più). Conobbi un sacco di autori, ombelicali e deliziosi, imparai un sacco di cose. Una delle cose che imparai fu che i giri dell’editoria giovane fiorentina erano perlopiù maschili. Era una cosa consueta, nessuno se ne stupiva. Me ne stupii quando mi accorsi che c’era una ragazza che più spesso si faceva vedere in quei giri. Si chiamava Silvia Costantino, scoprii che aveva fondato una rivista letteraria, scoprii che la rivista era fichissima, scoprii che aveva un acume rarissimo. Finimmo per pubblicare, con lei, un’antologia di saggi sul Fantasy che aveva curato proprio per la sua rivista. Le chiesi se volesse collaborare con me, occupando lo spazio che a effequ mancava davvero, quello dell’ufficio stampa. Accettò. Fu la cosa migliore che potesse capitare. Nel 2018, dopo un anno e mezzo di collaborazione, capimmo assieme che effequ restando in provincia poteva un po’ sognare e un po’ respirare, ma non molto di più. Scegliemmo di trasferirla a Firenze; nel frattempo mio padre andò in pensione e ci lasciò fare, così effequ diventammo io e Silvia. E diventammo fiorentini, plurali, maschili e femminili. E cominciammo a lavorare come pazzi, decidendo di essere realistici e puntare solo su due cose chiare: i Saggi Pop e la narrativa italiana, quella che chiamavamo, e chiamiamo, ‘leggera e inquieta’.
In due anni abbiamo sfacchinato per ore e ore al giorno, una cosa assurda e masochistica, e abbiamo imparato e forse capito una marea di cose; tra queste c’è il fatto che l’editoria indipendente, quella piccola, ha un compito indefesso e costante: resistere. Abbiamo anche scoperto che è parecchio retorico dire che sei ‘un editore che resiste’, quindi non lo diciamo mai. Per ovviare, cerchiamo di dire di volta in volta, soprattutto attraverso i libri, cose sensate, facendo atti editoriali che sono anche atti culturali e che crediamo possano aiutare a creare un immaginario nuovo, e perché no magari anche un linguaggio nuovo. Forse la viviamo come una missione, ma sono arrivato a temere che se non la si considera tale c’è poco da fare in questo mestiere. Eppure da una cosa io voglio fuggire: dalla glorificazione del lavoro, perché il lavoro, comunque, non fa bene, perché una cosa ha accomunato tutti i lavori precedenti a quello che faccio ora: uno stipendio irrimediabilmente basso. Ora forse si capisce meglio perché è una missione.
Però effequ, con costanza, ci prova.
La versione di S
Diversi anni fa – più di dieci, ma non ci voglio pensare –, insieme ad altri ragazzi dell’Università di Siena fondai un giornaletto online che si chiamava, in modo un po’ nerd, un po’ smart e sicuramente molto ambizioso, 404: file not found, per gli amici quattrocentoquattro. Figlio militante dell’Onda studentesca, 404 voleva essere il raccoglitore di tutti i not found della cultura, specie quella accademica in cui io e i miei compagni nuotavamo più o meno a fatica, e tra questi il mio pallino era l’editoria indipendente. Frequentavo le fiere, andavo alle presentazioni, e con la nascita e l’evoluzione della rivista iniziai ad addentrarmi molto di più nell’ambiente, a presentare libri, a recensire romanzi italiani perché l’idea che in Italia non si fa buona letteratura mi ha sempre suscitato una certa repulsione.
effequ entrò nel radar grazie a una serata fiorentina che è nota ai più come Torino una sega, durante la quale conobbi Matteo Pascoletti, valente e alcolicamente molesto scrittore con cui feci amicizia e che, di lì a poco, pubblicò proprio con questa piccola indipendente maremmana che io, reduce dalla dorata prigione dell’UniSi, non conoscevo, ma i miei amici del mondo fiorentino che andavano ai Saloni e frequentavano i caffè letterari sì. Poco dopo arriva a 404 la proposta di una recensione al romanzo di Pascoletti, è bella la recensione ed è bello il libro, la approviamo; poi mi capita di presentare lo stesso libro in una libreria fiorentina con la quale, di lì a breve, avrei iniziato a collaborare per la selezione dei libri in esposizione e per gli eventi (sì, sempre roba indipendentissima).
Poi le cose si fanno confuse, le linee temporali si sovrappongono, ma indicativamente va così: mi viene proposto di leggere e recensire il nuovo romanzo effequ, scritto da una ragazza che non conoscevo, Claudia Bruno, e io da ormai spocchiosa giornalista culturale ci metto un po’, ma poi lo leggo e me ne innamoro; nel frattempo parte la seconda edizione di Firenze RiVista, festival arrembante di riviste e narrazioni, nel quale c’è anche un panel con gli autori della narrativa effequ che si presentano e sembrano tutti libri particolari, e l’incontro è molto bello; nel frattempo è nato quello che passerà agli annali come il Sublime Simposio del Potere, una specie di miniconvegno serissimo sul fantasy, i cui interventi venivano poi trascritti e riportati per intero su 404. Io, in tutto questo, lavoravo in una scuola di italiano per stranieri occupandomi di trovare loro casa, e tutte queste cose erano la mia nicchia di sicurezza, una piccola bolla in cui mi ricordavo chi ero e cosa facevo e cosa mi piaceva fare.
A un certo punto la bolla scoppia: Francesco Quatraro mi contatta per propormi di raccogliere in un libro gli interventi del secondo Sublime Simposio. Succede la classica scena da film in cui la protagonista, del tutto impreparata agli eventi, accetta dando prova di un aplomb incredibile e poi appena gira l’angolo si mette a saltare, poi succedono anche tutte le altre scene in cui la protagonista scopre che non è che sia proprio un lavoro facilissimo quello di portare a giro un libro e trovare le presentazioni e tutte le persone che quando era Silvia di 404 la consideravano moltissimo, ora che è Silvia curatrice di un libello sul fantasy la considerano un po’ meno, e insomma son telefonate e corse su e giù per il belpaese e ancora telefonate, ma lavorare con effequ non era affatto brutto, e aver pubblicato il libello nella collana ‘Saggi Pop’ ancora meno: ancora oggi penso che nessun altro editore avrebbe avuto il coraggio di pubblicare nove serissimi saggi che trattavano in modo altrettanto serio l’argomento del fantasy. Ma d’altra parte questo è quello che fanno i Saggi Pop, ora lo so. effequ intanto aveva deciso di avviare un esperimento di graphic novel e propose a me di gestirne l’ufficio stampa. L’esperimento non andò secondo le più rosee delle aspettative, e la collana Illustri è terminata dopo quattro pubblicazioni che però rimangono orgogliosamente in catalogo. Ma la collaborazione andò bene e di lì a poco ero diventata l’ufficio stampa di effequ, e piano piano il lavoro è diventato tale da non potermi più permettere di lavorare a scuola, per cui si è realizzato l’incubo dei miei genitori: ho rinunciato a un solido posto fisso per buttarmi a testa bassa nel lavoro della casa editrice, con uno stipendio ampiamente minore del precedente, ma con la consapevolezza che non c’era davvero altro da fare. effequ stava, come diciamo sui social della casa editrice, alzando il volo: la collana di saggistica si è fatta più solida e ha iniziato a prendere una direzione molto precisa, che sintetizza i nostri approcci e forse anche i segni zodiacali: testardaggine, praticità, idealismo e passione. I Saggi Pop vogliono raccontare il mondo nei suoi aspetti più vari e interessanti, e dimostrare che tutto può generare un dibattito alto e interessante, e che tutti a questo dibattito possono partecipare. Dai meme alle catastrofi, dai tarocchi alla nonviolenza, l’approccio rimane il medesimo: ogni testo, si sa, è un mondo, e per noi ogni testo non deve cambiare il mondo, ma almeno provarci.
E la narrativa anche, è cambiata: la collana che avevo conosciuto come Dodicidiciannove è diventata Rondini, perché una sola rondine non fa primavera ma tante sì, e perché sono animali belli, leggeri e inquieti come le storie che ci piace proporre, come le copertine che facciamo disegnare a Chiara De Marco – tanto ricche e dettagliate quanto essenziali sono quelle della saggistica, di Simone Ferrini. Facciamo solo narrativa italiana (ma ci piace pensare a un’Italia colorata e ricca, come hanno narrato le nostre Future), ogni due anni pubblichiamo un’antologia di racconti, e non ci interessano solo gli esordi: anzi, la stagione che si è avviata vede il ritorno di alcuni dei nostri autori alla loro seconda prova, e la vediamo come una conferma del lavoro e della fiducia, e di una sempre maggiore solidità – se non nel campo economico, almeno in quello della street credibility.
Poi ci sono stati un altro paio di rilevanti scossoni, e questa è un’altra storia: sta di fatto che, a maggio 2018, effequ si è trasferita a Firenze ed è diventata effequ di Francesco Quatraro e Silvia Costantino e co. Non ho ancora, come un’amica sostiene che dovrei fare, cambiato la mia anagrafica in Filvia Qustantino, ma mi sa che la firma congiunta dal notaio vale quanto un matrimonio.
Susan Kare
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