Stiamo attraversando un momento di caos globale, il mondo è apparentemente sotto lo scacco di una minaccia per ora invincibile, forse siamo di fronte alla più grande crisi dell’ultimo secolo, con l’aggravante di avere alcuni dei peggiori esponenti politici di sempre al potere, in paesi chiave della politica internazionale.
Come possiamo uscirne vivi?
Solo attraverso la conoscenza e la riflessione.
In questo senso, al netto della retorica illusoria che proclama “andrà tutto bene” come un mantra narcotizzante, non tutto il male viene per nuocere: il periodo surreale che stiamo vivendo, a livello nazionale e internazionale, ha imposto all’opinione pubblica l’urgenza di alcune tematiche, sulla cui importanza da tempo un ristretto novero di intellettuali e attivisti insiste quotidianamente.
Il lockdown, il panico da pandemia, la necessità di prendere in tempi brevi decisioni drastiche dalle conseguenze potenzialmente drammatiche per il paese hanno costretto milioni di persone (purtroppo per le circostanze ma finalmente sul piano della consapevolezza collettiva) a riflettere su problemi che fino a poco tempo prima sembravano soltanto le ossessioni di sparute cassandre, ovvero: il rapporto tra libertà e sicurezza; il diffondersi incontrollato di fake news; l’inadeguatezza della classe dirigente; l’irresponsabilità delle opposizioni; il martellamento quotidiano di una propaganda neofascista vile e criminale; la necessità di riaffermare l’importanza della competenza, della cultura e della scienza nel dibattito pubblico; le conseguenze devastanti di una politica globale incentrata sul mero profitto, indifferente ai problemi ecologici; la ridicola inconsistenza di molte teorie del complotto, generate automaticamente a caso a seconda dei diversi protagonisti della cronaca quotidiana; soprattutto, l’imbarazzante impreparazione dei leader populisti di tutto il mondo nella loro esplosiva pericolosità.
Ora, in un momento in cui, a seconda dell’argomento di tendenza del giorno, tutti si svegliano virologi, esperti di diritto internazionale, costituzionalisti, custodi di verità segrete sugli occulti piani massonici (di cui, per le vie misteriose della Provvidenza, loro riescono sempre a venire a conoscenza), credo sia necessario in primo luogo studiare, documentarsi, vagliare le fonti con discernimento, elaborare in maniera ponderata e accorta una propria interpretazione del reale.
Più che dichiarare la mia personale ‘verità’ come un qualsiasi ‘piccolo Mosè’ (Carmelo Bene docet), vorrei limitarmi a segnalare alcuni testi secondo me molto interessanti per comprendere a fondo alcune dinamiche del presente.
Ecco, quindi, una costellazione di libri, e di autori, che spero possano essere occasione di riflessione seria e propedeutica a un affinamento dello spirito critico di ciascun lettore. Iniziamo da un testo che aveva già messo in luce le possibili derive orwelliane del rapporto tra potere politico e nuove possibilità di controllo offerte dalla tecnologia: parliamo del libro Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (LUISS, 2019) di Shoshana Zuboff, una monumentale opera di raccolta dati ed elaborazione critica sull’evoluzione del concetto, e della pratica, del controllo sociale nell’epoca dei social network.
Come scrive perfettamente Luigi Somma: «Shoshana Zuboff, nel suo volume “Il capitalismo della sorveglianza”, compie una poderosa opera di scavo, ricostruzione e definizione di una vera e propria architettura della sorveglianza (ad opera dei “nuovi padroni del mondo”), i cui meccanismi sotterranei governano e plasmano silenziosamente le nostre vite e i nostri comportamenti sociali. […] l’autrice descrive, con grande chiarezza, lo scheletro di questo grande apparato (per l’appunto, “Il grande Altro”) e del suo “potere strumentale”, in quanto capace di strumentalizzare i comportamenti non soltanto al punto da prevederne gusti, preferenze e orientamenti, ma di comprenderne e plasmarne esattamente i meccanismi d’azione».
Si tratta di un libro da leggere e studiare con cura, non fatevi spaventare dalla mole imponente: è sicuramente più illuminante che centinaia di fondi banali e post triti e ritriti sullo stesso argomento.
Qui di seguito, un breve saggio della capacità di analisi di Zuboff: «Il capitalismo della sorveglianza si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, viene sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale”, per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di predire che cosa faremo immediatamente, tra poco e tra molto tempo. Infine, questi prodotti predittivi vengono scambiati in un nuovo tipo di mercato per le previsioni comportamentali, che io chiamo mercato dei comportamenti futuri. Grazie a tale commercio i capitalisti della sorveglianza si sono arricchiti straordinariamente, dato che sono molte le aziende che hanno bisogno di conoscere i nostri comportamenti futuri. […] Come il capitalismo industriale era spinto dalla continua crescita dei mezzi di produzione, così il capitalismo della sorveglianza e i suoi operatori di mercato sono costretti ad accrescere continuamente i mezzi per la modifica dei comportamenti e il potere strumentalizzante. […] La connessione digitale è divenuta un mezzo per i fini commerciali di alcune persone. Il capitalismo della sorveglianza è intimamente parassitico e autoreferenziale. Rimanda alla vecchia immagine di Karl Marx del capitalismo come un vampiro che si ciba di lavoro. C’è però una svolta inattesa. Il capitalismo della sorveglianza non si ciba di lavoro, ma di ogni aspetto della vita umana».
Non male, vero?
Un altro testo molto importante su queste tematiche, e complementare al saggio di Zuboff, è il Manuale di disobbedienza digitale (Castelvecchi, 2018) di Nicola Zamperini, libro più agile ma altrettanto denso di dati, spunti e riflessioni del precedente preso in considerazione.
Zamperini concilia una grande competenza – è consulente per le strategie digitali di grandi aziende e istituzioni, insegna Digital Literacy ai professionisti della sanità, quindi più che mai interessante da ascoltare in questo preciso momento storico – con una rara capacità divulgativa.
Il libro affronta tematiche complesse dai risvolti tecnici normalmente inavvicinabili per il grande pubblico, ma lo fa con una tale passione e nettezza di pensiero da rendere veramente comprensibili a chiunque le dinamiche perverse della deriva culturale contemporanea.
Anche in questo caso, mi affido alla voce dell’autore per darvi un esempio concreto di quello che sto affermando, in un passo che spiega con semplice logica le conseguenze irreversibili dell’invasione dei social network nella nostra vita: «Un social network non è nulla preso singolarmente, un servizio di messaggistica non è nulla se esaminato unitariamente. Un contenitore di immagini che raccontano la nostra giornata non è nulla valutato da solo. Il più grande supermercato del mondo non è nulla preso singolarmente. Un servizio di posta elettronica, un traduttore, un navigatore satellitare, una biblioteca planetaria, una televisione planetaria non sono nulla presi singolarmente. Un telefono, un GPS, un oscilloscopio, un cardiofrequenzimetro, un contenitore delle nostre canzoni preferite, dei nostri film preferiti, dei nostri appuntamenti quotidiani non sono nulla presi singolarmente. Presi singolarmente sono minuscoli e preziosi aiuti, che però hanno cambiato e reso più comoda la nostra vita e cambiato il presente in maniera fantasmagorica. Questo basta per impedirci di togliere gli occhiali da presbiti e sforzarci di osservare da lontano il disegno. Vedere tutte le minuzie sommarsi. Proviamo adesso a osservare da lontano: uniamo i puntini, sommiamo le funzioni, aggiungiamo un elemento alla volta. Se guardiamo il disegno dalla giusta distanza ci rendiamo conto di quanto cediamo, di quanto regaliamo, di quanto perdiamo. Di quanto non riavremo mai più indietro, non dal punto di vista economico, ma rispetto all’essenza del nostro essere umani».
Zamperini però non si limita a piangere sul latte versato, ma offre strumenti, strategie, accorgimenti per sfuggire con consapevolezza alle trappole del ‘capitalismo della sorveglianza’. Personalmente, vorrei che per legge una copia di Manuale di disobbedienza digitale venisse spedita a ogni nuovo utente nel momento in cui si iscrive a un social network. Un testo che andrebbe letto in ogni scuola, fin dalle medie.
Dopo aver parlato di due saggi, credo sia il caso di variare le proposte, quindi, dopo il rigore analitico di Zuboff e Zamperini, vorrei vivacizzare le letture con uno dei testi, apparentemente, più folli, deliranti e allucinati pubblicati negli ultimi anni: Ballardismo applicato (Nero Editions, 2019) di Simon Sellars. Si tratta di un pregevole esempio di theory fiction, un mastodontico omaggio a J.G. Ballard, autore che si gioca con Isaac Asimov, Philip K. Dick e Aldous Huxley la palma di scrittore di fantascienza più profetico del Novecento. Il libro è un incessante trip paranoide, una catabasi negli abissi della mente di un accademico fallito, ossessionato dalla figura e dall’opera dello scrittore britannico (nato a Shangai, dato determinante per la sua formazione). Un viaggio caleidoscopico nell’esaltazione maniaca e vaneggiante di una mente disturbata, la febbrile testimonianza di un progressivo distacco della realtà in cui l’identità del protagonista narrante si smarrisce in un frenetico dissolvimento farneticante.
Cosa c’entra con i temi di cui stiamo parlando?
C’entra moltissimo, perché il libro è tutto fuorché delirante, insensato, sconnesso. Al contrario, si tratta di una costruzione raffinatissima, un gioco di specchi disposti con rara scaltrezza; l’intera narrazione è un immenso omaggio all’opera di Ballard, ma non solo dal punto di vista letterale (tutto il libro è una sorta di monologo ossessivo del protagonista sui significati nascosti e i messaggi occulti in codice delle sue opere), più ingegnosamente tutte le vicende raccontate nel libro sono un mosaico di citazioni, riferimenti, parodie, trasfigurazioni dei tòpoi ballardiani.
E, dunque, Sellars non fa altro che mostrarci, o meglio farci vivere, attraverso le disavventure tragicomiche che trascinano il protagonista in un delirio paranoico, le conseguenze ultime e definitive del ‘capitalismo della sorveglianza’.
Il titolo è rivelatorio delle intenzioni programmatiche dell’autore: applicare il filtro delle visioni ballardiane alla realtà del capitalismo contemporaneo, mostrando per evidenza come gli aspetti più grotteschi e surreali della nostra vita quotidiana siano pressoché coincidenti con le visioni più inquietanti – e censurate fino a pochi decenni fa – dello scrittore.
Significativa questa considerazione sul libro, forse, più famoso dell’autore: «Ballard disse che il suo obiettivo era «immergere il volto degli uomini nel loro stesso vomito e poi farli guardare allo specchio». La fantascienza è quello specchio, ma Crash non è un romanzo di fantascienza. A essere fantascienza non è Crash: è il mondo».
Insomma, invece di scrivere un saggio critico divulgativo, Sellars ha scelto una narrazione in prima persona per mostrarci la grandezza di Ballard nel prevedere la deriva disumana delle società, non solo occidentali, in cui viviamo. Dico non solo occidentali, perché con un abile espediente narrativo, nel libro il protagonista di fatto viaggia in tutto il mondo, potendo così testimoniare ovunque frammenti inquietanti di un gigantesco mosaico: la compiuta profezia apocalittica di Ballard.
Il tutto conduce a una riflessione filosofica molto interessante, sospesa tra nichilismo e misticismo: «tutto è soggetto a connessioni profonde, che la nostra mente conscia non può decifrare». Senza dubbio, uno dei libri più godibili e avvincenti che abbia letto negli ultimi anni.
Tornando alla saggistica, un testo sicuramente di grande attualità è Antropocene. Esiste un futuro per la terra dell’uomo? (Giunti Editore, 2020) di Erle C. Ellis.
Ellis – professore di Geografia e Sistemi ambientali presso l’Università del Maryland, nella contea di Baltimora, dove dirige il laboratorio per l’ecologia del paesaggio antropogenico e consulente del movimento Nature Needs Half – sostiene che la nascita dell’antropocene, ovvero l’era geologica attuale in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato dalle conseguenze dell’azione umana, secondo la definizione del Nobel per la Chimica Paul Jozef Crutzen, sia collocabile verso gli anni ’50 del Novecento.
L’intento di Ellis è chiaro: «[…] fornire le basi necessarie a comprendere l’Antropocene come proposta scientifica e spiegare perché è diventato così influente. Nel frattempo, spero che diventerete motivati come me a cercare di dare forma in modo più consapevole e proattivo a un futuro migliore per l’età dell’uomo.»
Si tratta di un testo non facile, ma degno di attenzione, che può fornire delle coordinate, per quanto possibile, precise sulle conseguenze autodistruttive delle attività umane, in questa fase di trasformazione mostruosa del capitalismo.
C’è chi sostiene, come i fautori del cosiddetto ‘accelerazionismo’, che l’unico modo per superare il modello capitalista è attraversarlo fino in fondo, accelerandone le conseguenze apocalittiche, fino alla necessaria ricostruzione di un modello nuovo sulle sue macerie.
Questa è chiaramente una sintesi brutale e non esauriente: se volete approfondire la portata filosofica di questo assunto, esplorandone i diversi aspetti, il libro che fa per voi è How to accelerate. Introduzione all’accelerazionismo (Edizioni Tlon, 2020) di Tiziano Cancelli.
Un saggio denso quanto scorrevole, che fa necessaria chiarezza nella selva di riferimenti, correnti, svolte e contraddizioni di uno dei movimenti filosofici più influenti degli ultimi anni.
Cancelli spiega, illustra, argomenta, soprattutto documenta con precisione, offrendo orientamento in un panorama frastagliato e stordente.
Ancora una volta, credo che sia opportuno ascoltare la voce dell’autore: «Per molte e per molti, l’accelerazionismo è divenuto nell’arco di pochi anni un modo per ritrovare una modalità di parola forte, capace di esprimere una critica radicale verso l’esistente e, soprattutto, un modo efficace di fare rete, di costruire quelle connessioni in grado di trasformare la critica in prassi trasformativa. Se da un lato parlare di prassi in relazione all’accelerazionismo potrebbe sollevare più di una perplessità, per il carattere allucinatorio e a volte sopra le righe di determinati concetti, rimane pur vero che l’accelerazionismo grazie alla sua innata capacità di immaginare un futuro radicalmente altro, ha ormai varcato le porte del famoso mainstream, guadagnando progressivamente seguito e popolarità. Un vero accelerazionista probabilmente direbbe che l’accelerazionismo in quanto tale non esiste e che i suoi frutti non sono altro che labili correnti d’aria all’interno di una grande filter bubble fluttuante nella virtualità dei social network: ma come definire la portata di un’idea in grado di produrre libri, editoriali, dibattiti, critiche e polemiche? Affermare l’inconsistenza dell’accelerazionismo equivarrebbe innanzitutto a ignorare le centinaia di pagine, profili, canali e forum abitati da migliaia di utenti in carne e ossa, che compongono la vita organica dei social network; la negazione di questo piano del discorso condurrebbe poi di conseguenza alla negazione di ciò che oggi è impossibile negare ovvero la potenza e la pervasività del piano virtuale».
Ecco, questi testi, molto diversi fra loro eppure legati da un filo rosso di documentata critica della contemporaneità, possono essere strumenti di consapevolezza, grimaldelli per decostruire la macchina di disinformazione globale, mappe affidabili per sfuggire al fuoco delle propagande incrociate: quella criminale e vile dell’estrema destra, quella ridicola ma molto popolare dei complottisti, ma anche quella fintamente rassicurante delle fonti filogovernative.
Per combattere contro questo sovraccarico di informazioni, per la maggior parte false e fuorvianti, ciascuno di noi deve affinare il proprio spirito critico, allenare il proprio discernimento, liberare i propri ragionamenti da fallacie e bias di conferma, senza cedere di un passo alla pigrizia dei luoghi comuni, alla comodità degli stereotipi, alle trappole dei giudizi affrettati; in una frase, dobbiamo fare solennemente a noi stessi la promessa annunciata da William Blake verso la fine del suo inno Jerusalem: «Io non cesserò la battaglia mentale».
Adriano Ercolani (Roma, 1979), scrittore e divulgatore, pubblica regolarmente interventi sulle pagine culturali di diverse testate nazionali (Linus, Il Fatto Quotidiano online, Repubblica XL, minima&moralia, Nazione Indiana, Globalist, Fumettologica, Linkiesta, Ultima Voce). Da anni si occupa, in saggi e conferenze internazionali, dei rapporti tra filosofia occidentale e orientale. Tra i fondatori del progetto InnerPeace, che ha portato la meditazione nelle scuole di 54 paesi del mondo, collabora al progetto filosofico Tlon.