Proprio per questo, per ribadire l’importanza fondamentale di un approccio corretto alle narrazioni storico-politiche, il 25 febbraio 2020 il gruppo storia ha organizzato una lezione aperta con lo storico Marco Bernardi sull’uso politico della resistenza, intitolato Quando le storie diventano Storia.
Inoltre, pubblicato sul nostro sito, sempre a cura del gruppo storia, è possibile leggere Le foibe ovvero della Shoah italiana. Un caso di uso pubblico della storia, un articolo dello storico Marco Bernardi.
Qui di seguito una email dei promotori dell’appello, che troverete in fondo a questo testo con il link per per poter firmare e altre importanti link informativi.
Dobbiamo ripeterci, ma è strabiliante la mobilitazione che l’appello Raccontiamo la storia, raccontiamola tutta ha generato e sta continuando a generare.
Ricordiamo ancora una volta qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha suscitato quell‘£onda di indignazione democratica e antifascista che, partendo da Torino, ha percorso tutta la penisola italiana e ne ha presto superato i confini. Lo storico Eric Gobetti, studioso dell’occupazione militare italiana in Jugoslavia, ha ricevuto nei giorni scorsi intimidazioni di vario genere da parte di diverse organizzazioni appartenenti alla galassia dell’estrema destra. Proclamavano di voler impedire fisicamente lo svolgimento di una sua conferenza pubblica sulle “foibe”. Chiedevano con modi perentori all’amministrazione di Torino di revocare la concessione degli spazi comunali al centro sociale Gabrio che aveva promosso l’iniziativa e invitato Gobetti.
La prima buona notizia è che la conferenza si è svolta serenamente: Gobetti è intervenuto di fronte a un pubblico numeroso e del millantato tentativo squadrista di impedire l’incontro non vi è stata traccia. Gli abituali sventolatori di croci celtiche hanno capito che non era il caso di farsi vedere.
La seconda buona notizia è che i sussulti antifascisti continuano e le nostre caselle mail sono costantemente invase da adesioni all’appello. Vi alleghiamo il nuovo elenco dei firmatari (aggiornato alle 12 di oggi, 7 febbraio).
Rimangono valide le ragioni di fondo e di merito che abbiamo provato a riassumere in poche righe:
rifiutiamo la monumentalizzazione decontestualizzata e orientatata nazionalisticamente delle complesse e tragiche vicende che ebbero luogo sul “confine orientale”. E vogliamo che la crepa che si sta aprendo su questo tema diventi una breccia.
Ora che qualcosa si è smosso perché non provare ad arrivare al 10 febbraio scalfendo parte della tossica nube di retorica che generalmente si incontra nei mass media generalisti? L’edizione locale di Repubblica ha dato spazio alla voce di Gobetti stesso. La Stampa on line (purtroppo solo nella versione per gli abbonati) ospita un nostro articolo che riprende i nodi problematici che abbiamo evocato.
Non possiamo che ringraziare tutte/i coloro che sin da subito hanno diffuso il nostro testo e, in particolare, le realtà della websfera che lo hanno pubblicato sulle loro pagine, contribuendo in modo determinante ad alimentare il tam-tam. Citiamo, tra i primi che lo hanno fatto, Girodivite, Nicoletta Bourbaki e Arci. Se i blog, e i portali che ci hanno comunicato il loro sostegno (o intendono farlo), volessero rilanciare la mobilitazione, riprendendo, in tutto o in parte, l’appello o il suo messaggio di fondo, non devono nemmeno chiedercelo.
Abbiamo provato a tirare un sasso nello stagno, le onde si stanno diffondendo ben oltre le nostre aspettative. Anzi, la modalità artigianale con cui abbiamo proceduto a raccogliere le prime firme inizia a mostrare alcuni limiti. Per questo chiunque sia in grado di segnalarci o offrirci strumenti più snelli e rapidi per procedere a raccogliere le adesioni si faccia avanti. Per ora abbiamo creato un nuovo indirizzo (per fare respirare le nostre caselle) a cui inviare le nuove adesioni, lo stesso da cui vi stiamo scrivendo: [email protected]
Ammettiamo però che, nonostante la faticaccia di trascrivere le firme nei nostri ritagli di tempo, ci siamo emozionati spesso. Una gran parte di voi non si è limitata a scriverci il proprio nome, ma si è sentita in dovere di raccontarci, con una frase lapidaria o con ragionamenti articolati, con citazioni o con ricordi personali, un pezzettino delle ragioni politiche, culturali, esistenziali o famigliari alla base della propria adesione. Nell’era dei “mi piace”, delle “spolliciate” e dei retweet, non ci pare poco. Limitarci a un “grazie” per aver condiviso tutto ciò, non rende abbastanza l’idea della grande empatia che sentiamo.
Avanti tutta, non fermiamoci. E continuiamo la nostra resistenza culturale.
(Carlo Greppi e Marco Meotto)