Per gentile concessione degli autori pubblichiamo il numero zero della fanzine Rabid Byte.
IL FRUTTO DELLA NOSTRA IMMAGINAZIONE
Questa fanzine nasce con l’intenzione di provare a raccogliere quell’eredità che i vari autori collettivi della cultura future shock hanno impresso nelle nostre memorie interne e vogliamo farlo ricominciando a capire perché fosse importante sublimare quella conflittualità del presente nel futuro.
Quegli scenari appaiono a noi come visioni profetiche di una realtà verosimile, in quanto proiezioni accompagnate da canoni estetici estremi ed alternativi, di analisi sociopolitiche sperimentate in questi diorama virtuali dove i nostri sogni di rivalsa possono trovare il luogo dove in potenza cospirare. Dall’alto del nostro panorama virtuale possiamo costruire visioni e connessioni comuni dove testare nuove strategie in potenza valide per il presente e quindi il futuro.
Quello era il sogno della cybernazione precedente e quello che ne otteniamo noi è: o una grande lezione (non perdere l’hype per il futuro, fosse anche il più tetro tra essi e, anche a quel punto, non smettere di lottare) o di una sfilza di merchandise proveniente da una enorme produzione di (fichissimi) film di testata su futuri cyberdistopici o post apocalittici però sempre più privati di una vera critica politica che quegli autori vedevano a caratteri cubitali nei loro monitor, diventando solo cicliche interpretazioni stilistiche di immaginari consolidati e assorbiti nel buco nero del capitalismo. L’effetto che il dark future da palinsesto sta avendo su di noi, al di là delle ispirazioni stilistiche, credo sia simile ad un trauma o comunque che abbia un impatto psicologico sul nostro subconscio con tale funzione. Sono convinto che contesti come il cyberpunk, spogliati delle loro critiche al sistema e da un profondo senso di rivalsa, siano solo ambientazioni hi-tech alternative in cui la speranza è morta e non ci resta che arrenderci ad un contesto di pura e violenta catena alimentare, nella quale le stesse dinamiche di sfruttamento che ci coinvolgono tutt’oggi sono delle certezze cannibali alle quali bisogna arrendersi. Abbiamo esempi di come la strategia del terrore ha innestato sulla società un forte trauma che ha portato al graduale disfacimento dei moti di protesta degli anni 70 e penso che l’assenza di prospettive future solide che dovrebbe riportarci ad un nuovo stato di conflitto, appunto, crea un effetto tendenzialmente opposto, perché siamo testimoni a livello immaginario di realtà post-capitaliste disastrate. Ad esempio, MadMax fa parte di un filone narrativo ambientato in una post-apocalisse nucleare in cui la vita è talmente dura che l’umanità è costretta a dare il peggio di sé pur di sopravvivere, vige la legge del più forte. Chiaramente nessuno, né tra gli autori né tra gli spettatori, si augura una guerra nucleare per poi entrare in un mondo di violenza e stenti, solo per poter sfoggiare un casco da hockey e una motosega o che so io.
Questo messaggio ci porta automaticamente a pensarci due volte prima di appoggiare guerre atomiche o anche avere centrali nucleari in casa visto che abbiamo ancora dei solidi riferimenti di cosa possa significare un disastro atomico o la legge del più forte. In questo caso il messaggio critico e politico nei confronti del rischio atomico è evidente, ma che succede se certi riferimenti storici diventano meno noti e molto meno fichi della fiction che li ripropone? Può Judge Dredd diventare il nostro ideale di giustizia invece che essere la caricatura della figura dello sceriffo brutale, difensore di un sistema fascista e corrotto? Le contraddizioni di quegli scenari instillano in noi certe riflessioni ma la saturazione stilistica ed estetica di certi scenari, combinata con una memoria storica sempre più in calo, appiattisce il senso di rivalsa direttamente nei nostri sogni, dividendoci tra alieni e alienati. Quindi in quanto il fenomeno del mainstream è una realtà determinante nella formazione personale di molti, possiamo permetterci di non prenderlo in considerazione? Abbiamo il potere di interagire con esso? Noi pensiamo che ci dobbiamo almeno provare perché la rivoluzione non la vogliamo di nicchia.
Tornando al dark future, troviamo interessante la scelta tempistica che il capitalismo, in veste di mainstream, ha ritenuto efficace per poter inglobare una sottocultura carica di tale spirito critico, poiché dopo appena 20 anni di graduali saturazioni di produzioni artistiche, il cyberpunk è rientrato con la formula vincente del revival sulle nostre piattaforme. Creativi e professionisti della comunicazione creano, grazie a nuove svolte tecnologiche, mondi perfetti predefiniti con qualità quasi indistinguibili dalla realtà, quindi vere e proprie esperienze in grado di cambiare la nostra opinione, non lasciando più niente alla nostra immaginazione. Se non possiamo contare su un futuro migliore di questo, ma abbiamo già testimonianza visiva a livello inconscio di contesti futuri dove non sopravvive la *comodità della quale oggi siamo dipendenti, saremo solo predisposti a proporre questo presente, mentre la grossa macchina capitalista continua a mangiare e consolidarsi, continuando a produrre sfruttamento e un’inquietante quantità di rifiuti, fino al punto di non ritorno.
Questo farà sì che il problema rifiuti non verrà solo relegato ai soliti poveracci del terzo mondo ma potrebbe diventare una questione sempre più globale. Problemi globali hanno bisogno di soluzioni internazionali, per questo la nostra speranza è di ripristinare le connessioni reali legate agli immaginari, renderli compatibili con le nostre lotte e di cercare nuovi contenuti e linguaggi resi tossici per sottrarsi all’attrazione gravitazionale del capitalismo (per quanto possa risultarci impossibile) e cercare strategie per hackerare i principi su cui si fonda.
Nel concreto, l’esigenza di una teoria d’attacco ha stimolato in noi una ricerca di punti deboli del mostro che ci sovrasta, portandoci nello specifico ad approfondire la questione rifiuti, secondo noi uno dei punti cardine del sistema consumistico.
Pensiamo infatti che discutere assieme su come stravolgere il concetto di rifiuto sia possibile. Con l’aiuto di strumenti a noi già noti come l’open source e il DIY applicati al riciclo e al recupero, crediamo di poter contemporaneamente indebolire il sistema economico consumistico, l’obsolescenza programmata e allo stesso tempo riuscire a rappropriarci di una (auto)produzione di stampo pseudo industriale che contrasti il nascere di una green economy egemone dando la possibilità alle classi svantaggiate di tutto il mondo di emanciparsi dal ritmo imposto da questo neoliberismo sconsiderato.
Pensiamo insieme a una vera, ecologica lotta di classe, non lasciamoci soli.
Chiunque voglia partecipare alla discussione, in qualsiasi ambito e qualsiasi maniera è ben accetto e lo invitiamo a scriverci.
La storia che state per leggere è l’ennesima rivisitazione di post-apocalisse, genere già per sua conformazione povero di rivalsa e pertanto icona di un futuro che non mi auguro.
Il ‘realismo capitalista’ predilige personaggi cinici capaci di scalare la catena alimentare, piuttosto che ‘eroi idealisti’ e ingenui destinati a perdere sempre più appeal tra le sfavillanti carriere di tagliagole opportunisti. Accettare questo vuol dire barattare il senso di giustizia con la furbizia direttamente nel nostro immaginario.
Laser Vitú
BENVENUTI IN DATATANK!
La rubrica dedicata al raccoglimento ed alla diffusione d’informazioni utili alla ricerca, studio e sperimentazione di sistemi di organizzazione alternativi.
In questo spazio verranno periodicamente pubblicati contenuti di carattere interdisciplinare, offrendo al lettore una serie di risorse propedeutiche alla riflessione su tematiche appartenenti ai più disparati ambiti del sapere – filosofia, economia, politica, antropologia, sociologia, comunicazione, arte e molto altro.
Tra gli argomenti che si andranno a trattare figurano esistenzialismo, etica, psicologia e neuroscienza, ecologia, storia, teorie del valore e della proprietà, deep web, criptovalute, DIY e correnti artistiche di vario genere, con una particolare attenzione riservata ai sistemi economici e politici della corrente libertaria quali anarco-comunismo, anarco-sindacalismo, municipalismo, mutualismo, agorismo ed altre varianti delle tendenze collettiviste ed individualiste. Ogni pubblicazione avrà cura di fornire una lista di fonti valide per un approfondimento autonomo della questione.
È giusto precisare che lo scopo di questa rubrica non è il proselitismo: non si tratta di propagandare ideologie messianiche o prescrivere programmi specifici, quanto piuttosto ispirare senso critico nei confronti delle istituzioni vigenti, portando alla luce le contraddizioni implicite nel modello capitalista in modo da stimolare la ricerca – teorica e pratica – di nuove strutture organizzative. L’intento è dunque quello di generare la consapevolezza necessaria all’individuo assopito per il passaggio da una condizione di passività politica ad uno di attività, dalla cieca accettazione allo scetticismo, dalla delega della propria felicità ad una responsabile e diretta partecipazione del suo conseguimento.
Per tutto questo ed altro ancora ci si rivede alla prossima discussione del DATATANK! Nel numero 1 di Rabid Byte.
MANIFESTO DEL RIFIUTO
Cosa s’intende per “rifiuto”?
Quanti significati veicola questo termine nella lingua italiana e quali immagini riesce ad avocare?
Il primo e più immediato collegamento è senz’altro quello del rifiuto materiale, ovvero della spazzatura, dell’oggetto privo di qualsiasi valore d’uso e di scambio e di conseguenza destinato a risolvere il suo scopo nel deperimento fisico e nella decomposizione; un’ulteriore accezione del termine è poi quella dell’emarginato, del reietto: anch’egli, proprio come la spazzatura, rappresenta uno scarto della società, un individuo al quale non viene attribuito alcun valore e che dev’essere dunque ostracizzato per il benessere di tutti; infine la parola “rifiuto” può anche indicare una negazione di consenso , un diniego o, per meglio dire, una dichiarazione di non-accettazione.
Insomma, come il resto dei termini facenti parte di un linguaggio, il vocabolo “rifiuto” è capace di comunicare numerose informazioni. È importante notare, però, come la modalità di ricezione di queste informazioni sia strettamente dipendente da una conoscenza aprioristica dei concetti ai quali tali termini sono legati. Si tende infatti a fare riferimento ad un sistema implicito, inconscio ed anonimo di regole e di eventuali riflessioni sulle stesse, che definisce lo spazio di possibilità entro il quale si costituiscono ed operano i saperi, generando così delle convinzioni inesatte – o, per meglio dire, delle rappresentazioni della realtà la cui esattezza è erroneamente data per assunta.
La mia capacità di elencare le suddette interpretazioni di “rifiuto”, ad esempio, è data esclusivamente dall’antecedente esperienza da me acquisita nell’utilizzo di questo termine nella società contemporanea, in cui è comunemente adoperato per descrivere, appunto, della spazzatura, un reietto o per affermare un’idea di non accettazione. Tuttavia, nulla garantisce l’attendibilità con cui questo giudizio viene formulato ed occorre dunque domandarsi se ciò che oggi è generalmente identificato come un “rifiuto” incorpori davvero tutte le qualità ad esso associate. Ad esempio, si potrebbe cominciare con lo studiare la transizione di un oggetto alla condizione di “rifiuto” materiale, ovvero di come possa passare dall’essere valutato come utile all’essere considerato assolutamente inutile. A tale proposito vale la pena osservare che molti degli oggetti che vengono etichettati come “rifiuti” o spazzatura – come un paio di scarpe logore o il vecchio modello di un elettrodomestico – non dovrebbero in realtà essere considerati tali, poiché il loro valore d’uso e di scambio non può essere veramente calcolato come zero se non in base ad un sistema di classificazione aprioristico che ci porta a bollarli come scarti. Questa incongruenza sembra manifestarsi per un meccanismo di obsolescenza programmata che predetermina il passaggio di un oggetto da utile ad inutile, un procedimento che serve platealmente gli scopi del sistema economico capitalista-consumista. Per azzoppare efficacemente questa macchina sembra dunque necessario interrompere la trasvalutazione dei valori, questo perpetuo decadimento dell’utilità capace di generare infinite necessità materiali – un presupposto indispensabile per la sopravvivenza e il foraggiamento dei meccanismi produttivi vigenti.
Ma perché fermarsi qui? Come si è visto, il termine “rifiuto” è oggi utilizzato per fare riferimento a vari concetti e il caso precedente suggerisce di dubitare di ciascuno di essi. L’applicazione di questo scrutinio all’idea di reietto è sicuramente il passaggio più banale: il cosiddetto “rifiuto della società” non ha di per sé valore umano e sociale pari a zero, è semplicemente un individuo il cui contributo alla società capitalista nello specifico è pari a zero e solo per questo è etichettato come nullità al di là di ogni contesto, à tout court.
Uno studio più interessante va fatto in relazione al “rifiuto” inteso come non-accettazione. Per esempio, in questi giorni va finalmente popolarizzandosi la causa ambientalista, l’unico fine che, per sua natura, avrebbe forse avuto, un giorno, la capacità di unire tutti contro l’origine del disastro ecologico: lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’assetto politico-economico attuale. Purtroppo, però, il metodo che sta ora prendendo piede per perseguire questa causa è tutt’altro che ostile a questa struttura: si fanno manifestazioni per richiedere agli stessi enti che hanno causato il disastro di prendere provvedimenti, si propone di andare al voto, si delega ulteriormente il destino del pianeta alla medesima matrice di disuguaglianza, disagio ed inefficienza. Eppure questa strategia è vista dalle masse come la maggiore antagonista del sistema, come addirittura un rifiuto dello stesso.
Ciò che emerge da queste riflessioni è il ritratto di una realtà stantia, in cui il sistema è riuscito ad assorbire anche le idee dell’anti-sistema, spacciando con successo movimenti reazionari come rivoluzionari e definendo i margini di ciò che significa rifiutare, anche se chi segue tali linee guida non rifiuta affatto – anzi, partecipa al rafforzamento della legittimità dello status quo come deus ex machina, capace di risolvere anche ciò che esso stesso sistematicamente causa.
Non viene solo insegnato cosa acquistare ma anche cosa buttare; non solo chi accettare ma anche chi ostracizzare; non solo cosa fare per allinearci ma anche cosa fare per non allinearci – la struttura di potere non insegna solo a dire sì ma anche a dire no.
La risposta di questa triplice omologazione non può allora che essere una triplice eversione: alle forze dell’uniformità economica, sociale ed intellettuale rispondiamo con tecniche di contro-economia, contro-cultura e contro-informazione.
In pratica: utilizziamo ciò che ci viene chiesto di scartare, accettiamo chi ci viene chiesto di escludere e rivendichiamo l’autonomia del nostro dissenso.
Oggi più che mai, la strada verso sistemi di organizzazione alternativi richiede questo primo, fondamentale passo: l’emancipazione del concetto di rifiuto.