Qualche settimana fa qui a Roma è stato chiuso da un’ordinanza municipale l’Hangar delle Arti, un teatro tenda che per alcuni mesi ha riqualificato e riempito di eventi, spettacoli e incontri un campo da tempo incolto e abbandonato. Senza entrare nel merito delle irregolarità che ha fatto scaturire questo procedimento resta il fatto che tale spazio andava a coprire una mancanza di luoghi di cultura così evidente nel Terzo Municipio. Altri spazi sociali, quali ad esempio Lab Puzzle e Astra, non sembrano avere garanzie circa il loro futuro e soprattutto, fatta eccezione per il Parco Labia, al momento non sembrano neanche previste iniziative di riconversione di altri spazi adibiti a destinazioni culturali come per fare un esempio il Moby Dick a Garbatella. Per non parlare di esperienze, come Les Grands Voisins, legate al cosiddetto urbanismo transitorio che stanno prendendo piede oggi a Parigi attorno all’occupazione temporanea di edifici inutilizzati da parte di associazioni, artisti, artigiani e start-up e regolamentata da un accordo tra amministrazione pubblica e gestori immobiliari.
E, infine, qualche giorno fa sono stato veramente colpito dal post di un’amica – titolare di uno degli ultimi negozi di dischi ancora aperti a Roma – che facendo due passi nella sua via, una strada commerciale molto frequentata del nostro municipio (Via Ugo Ojetti), scopriva molte serrande abbassate di locali chiusi per cessata attività. Un’immagine decisamente triste e sconsolante perché un quartiere meno affollato non è un quartiere più vivo, più libero e tanto meno sicuro. Insomma la desertificazione non è una visione che rimanda un senso di gioiosa vitalità. Ma la considerazione più interessante che ho trovato in questo post è che, in tempi di commercio digitale Amazon-dipendente, ogni nostra spesa o modalità d’acquisto nasconde in sé una decisione non solo commerciale ma politica perché le nostre scelte generano alla lunga un impatto sul tessuto sociale dei nostri quartieri e sulla qualità della nostra vita. Nessuno meglio di un abitante del terzo può constatare come il nostro territorio sia disseminato di scheletri che testimoniano la decadenza di alcune attività legate al cinema come, solo per fare un esempio, l’Astra, l’Aureo e l’Horus. Spazi mai peraltro riqualificati.
Senza dimenticare i principi etici che dovrebbero regolare i nostri acquisti e delle ricadute che questi comportano nella nostra vita sociale, forse è tempo di ragionare sul significato profondo del termine “cittadino”. Riflettendo in particolare sui diritti che la cittadinanza comporta tra i quali pretendere un’amministrazione pubblica che garantisca una diffusione della cultura, dell’informazione, delle idee e delle esperienze.
Un esercizio politico che si deve sviluppare anche attraverso una gestione attiva e costruttiva degli spazi pubblici. Non solo occupandosi del controllo delle normative.