LETTERA APERTA ALLA CITTADINANZA DEL III MUNICIPIO SUL DDL PILLON
Il DDL Pillon, in discussione alla commissione giustizia, stabilisce nuove norme in materia di separazione coniugale e affido dei/lle minori.
Un argomento delicato, che parla di un momento di sofferenza o fragilità, sia degli adulti sia dei minori, e che presupporrebbe lungimiranza ed equanimità.
In realtà, negli articoli del DDL 735 (Pillon), mascherato dal presupposto della “bigenitorialità perfetta”, c’è un arretramento delle libertà civili di tutte e tutti e in particolare per donne e bambini/e.
Mediazione familiare obbligatoria
Non scelta, e a pagamento, dovrà istruire un “piano genitoriale” in cui saranno definiti luoghi abitualmente frequentati dai figli, scuola e percorso educativo dei minori, eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali, formative e le vacanze normalmente godute.
Ben lontani dal modello di autodeterminazione delle persone e dei genitori, si svuota la competenza genitoriale a favore di una pianificazione ingessata dei tempi di vita dei figli. La mediazione è affidata a soggetti privati (Pillon è un mediatore familiare ed è difficile non pensare a un conflitto d’interessi), la spesa non è quantificabile e qualsiasi contenzioso (i figli crescono e cambiano le esigenze) comporta il ricorso a una nuova fase di mediazione e il conseguente esborso di denaro. Nella stesura del piano genitoriale il/la minore non può esprimersi e non ha diritto a essere ascoltato/a, in contrasto con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che riconosce i/le bambini/e titolari di diritti.
In ultimo, e non per importanza, la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmata anche dall’Italia nel 2012, vieta esplicitamente in questo contesto il ricorso alla mediazione familiare. Ovviamente la condizione di violenza in cui può trovarsi una donna non è volutamente contemplata dal DDL.
Viene cancellato l’assegno di mantenimento a favore di un mantenimento in forma diretta dei/lle figli/e attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa. In una situazione del mercato del lavoro in cui la donna è maggiormente impiegata in lavori precari, perlopiù estromessa da posizioni apicali ben remunerate e colpita dal gender pay gap, c’è il rischio concreto che il/la minore si trovi a vivere in condizioni di disparità.
Inoltre, nel caso in cui la casa di famiglia sia cointestata ai due ex coniugi, quello che rimane dovrà corrispondere il canone d’affitto e se non è co-proprietario dovrà cessare di abitarvi.
È difficile non ravvedere in questo il mantra che negli ultimi anni si è diffuso sulla presunta “bella vita” che le donne separate fanno con gli assegni di mantenimento, mentre i padri sono ridotti sul lastrico. La separazione impoverisce tutti/e e invece di fornire sostegno materiale, con ad esempio forme di cohousing per genitori in condizioni di povertà, si dà libero corso ai peggiori istinti vendicativi nei confronti delle donne (che hanno avuto l’ardire di separarsi) che in realtà sono i soggetti economicamente più fragili.
Il DDL Pillon impedisce l’emersione della violenza e mette in pericolo le donne e i minori che cercano di sottrarsi al maltrattante
Nel caso in cui un figlio minore si rifiuti di vedere uno dei due genitori, l’altro genitore può essere accusato di aver manipolato il minore e il giudice può predisporre un provvedimento d’urgenza che prevede “la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale”. Questa norma di fatto avvalora la PAS (sindrome di alienazione parentale) e la usa come punizione, dinamica già in atto nei tribunali italiani. Se la donna denuncia violenza, o se il minore che vi ha assistito non vuole stare con il padre, è chiara la minaccia: perdere l’affidamento per la donna fino alla collocazione obbligatoria in un istituto per il minore.
Il DDL 735 Pillon fa il paio con il DDL n. 45 (De Poli, Binetti, Saccone) presente sempre in commissione redigente che, nell’ambito di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, stabilisce diversi gradi di violenza, fino a prevedere per le ipotesi di “minore gravità” la pena del lavoro di pubblica utilità. La violenza, per essere considerata tale, deve essere sistematica, esplicata a cadenze regolari, ripetitive e frequenti. Se ti picchia una volta ogni tanto cosa vuoi che sia!
Noi non abbiamo dubbi: in ogni piazza, in ogni strada, è necessario denunciare questo disegno che colpirà la vita di donne, uomini e minori ma che si dimostra feroce per le donne che vogliono essere libere da rapporti violenti.
Saremo l’8 marzo, giorno di mobilitazione e sciopero globale delle donne, nelle strade di questo municipio e nella manifestazione pomeridiana indetta da Non Una Di Meno, e vogliamo pensare che saremo tanti/e a dire che questa vergogna va rispedita al mittente.
Terzo in Genere – Grande come una città